STORIE DEL NOVECENTO
13 ottobre 1972: il Miracolo delle Ande
Il disastro del Fokker F27 che si schiantò e la stroria tragica dei 16 sopravvissuti. Le autorità danno l’aereo per disperso invece è accaduto l’impensabile
13 ottobre 1972. Il Fokker FH 227D della Forza Aerea Uruguaya diretto a Santiago del Cile sta sorvolando le Ande. A bordo, 45 passeggeri: 5 membri dell’equipaggio, 19 giocatori della squadra di rugby Old Christians, altri amici e parenti. Sono partiti da Montevideo: hanno organizzato una tournée amichevole e il viaggio è una specie di vacanza. Le condizioni meteorologiche sono pessime e hanno fatto scalo a Mendoza per la notte. Meglio non rischiare: per superare le Ande il charter noleggiato deve passare tra i valichi in mezzo alle montagne. In volo da un’ora, alle 15 e 24 il pilota comunica di essere sopra Curicò, in Cile. Si è rialzata la nebbia e i venti sono forti: tra turbolenze e vuoti d’aria comincia la discesa verso Santiago. Poco dopo però salta il contatto con la Torre di Controllo: l’aereo è sparito, si è schiantato o è precipitato. Iniziano le ricerche, ma quella zona è inaccessibile, la fusoliera bianca si confonde con la neve e di notte si arriva anche a meno 35 gradi. Il 21 ottobre le autorità chiudono il caso: non ci sono più speranze. Invece, in cima alla Cordigliera è accaduto l’impensabile. Il pilota ha sbagliato rotta e alle 15 e 31, a 4.200 metri, l’ala del Fokker ha colpito la montagna, si è spezzata e ha tranciato la coda dell’aereo. Come in un film, sei passeggeri sono stati risucchiati fuori. Incredibilmente, però, parte della fusoliera ha tenuto, è “planata” su una distesa di neve e si è fermata a 3.657 metri di altezza.
I superstiti sono 32. Ragazzi tra i 18 e i 24 anni. Trascorrono la prima notte abbracciati nella fusoliera, chiudendo lo squarcio con sedili, valigie e rottami: «i vestiti si congelavano, i nostri denti battevano così forte che era impossibile parlare», racconteranno. Poi si organizzano: esplorano la zona, raccolgono quel che c’è, caramelle, barattoli di marmellata. Ma dopo una settimana il cibo finisce e iniziano a morire, per sfinimento o per consunzione. E, peggio ancora: trovano una radio e scoprono che nessuno li sta più cercando. La situazione è disperata. I ragazzi ne discutono per tutto un pomeriggio, poi prendono la decisione più lacerante: è uno strazio, ma «non avevamo altra via di salvezza», ricorderà uno di loro, Roberto Canessa. Così, con una lametta o una scheggia di vetro iniziano a tagliare piccole strisce di carne dei loro compagni morti. Uno taglia, l’altro distribuisce. Le mangiano, crude o cotte, in silenzio, senza sapere chi sia, per non «ricordare il loro sguardo da vivi».
E non è ancora finita: il 29 ottobre una valanga travolge la fusoliera. Ne muoiono altri otto, adesso sono rimasti in 16. Non ci sono alternative: il 12 dicembre, al 61° giorno, Canessa, Fernando Parrado e Antonio Vizintin ci provano. Devono oltrepassare la Cordigliera senza bussola, stremati, con cibo per 15 giorni e una specie di slitta ricavata da una valigia. Parrado indossa quattro pantaloni, un passamontagna, un giubbotto e pezzi di pelliccia. Ai piedi, scarpe da rugby e quattro paia di calze rivestite da sacchetti di plastica. Dopo tre giorni arrivano sulla cima di un monte. Una beffa: sotto ci sono solo altre montagne. Vizintin torna indietro, per lasciare più provviste agli altri. I due proseguono. Il 20 dicembre intravedono erba e prati. Poi, al di là di un torrente, un mandriano, Sergio Catàlan. Quasi senza forze, Fernando prende un rossetto da labbra e scrive su un foglio: «Vengo da un aereo che è caduto nelle montagne... Nell’aereo aspettano 14 persone ferite... non possiamo più camminare».
Lo arrotola su un sasso e lo lancia al di là della riva: il mandriano sobbalza. È finita: dopo 72 giorni sono salvi. Il ritorno alla vita dei ragazzi fu meraviglioso. Poi però dovettero spiegare e si scatenò una polemica lacerante che fece il giro del mondo. Eppure, bastava sentire Roberto Canessa: «avremmo potuto morire e aiutare gli altri a sopravvivere. Questa è stata una cosa fantastica che abbiamo fatto insieme. Provo a spiegarlo alle persone e dire loro che avrebbero fatto altrettanto. Non cerco di giustificare nulla». Aveva ragione, non c’era nulla da giustificare.
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