IL RITRATTO
Bossi, leader popolare e popolano
Il senatùr raccontato da Raimondo Fassa. E oggi a Busto la Lega in festa
«Umberto...» non l’ho mai chiamato né nominato così. Con le persone di potere con cui ho avuto l’onore di collaborare non mi sono mai abbandonato a quella facile familiarità che altrettanto facilmente, in relazioni di questo tipo, può tradursi (da ambo i lati...) in mancanza di rispetto. Fosse dipeso da me, gli avrei sempre dato del “Lei”. Ciò premesso, non ho difficoltà ad ammettere che Bossi è uno degli uomini che più ha contato nella mia formazione. E per i quali nella mia vita ho nutrito più ammirazione, stima e gratitudine.
Ammirazione e stima che in parte (la gratitudine è ancora tutta intera!) ho continuato a nutrire anche dopo la nostra separazione. Da circa un anno ero uscito dalla Lega (tecnicamente, credo di essere ancora un socio ordinario militante che “da qualche tempo” non rinnova la tessera...), ma ero ancora eurodeputato. Una sera, durante un importante forum economico internazionale, capitai con mia Madre buonanima alla stessa tavolata con un importante imprenditore, un capo politico del centrosinistra, due esponenti di un potente movimento cattolico e un insigne docente universitario. Il discorso cadde su Bossi e mi fu chiesto quale fosse il suo titolo di studio. «Credo un diploma di scuola superiore», risposi. «E come può uno con un diploma simile parlare di federalismo?», sbottò il cattedratico. «Lei è federalista?» gli chiesi. «Sì, da trent’anni lo insegno ai miei studenti». «Bene», gli replicai, «Lei, Professore, da trent’anni insegna il federalismo, e non se n’è accorto nessuno. Ci voleva un semplice diplomato perché ne parlasse tutta Italia!».
Bossi non è laureato, è vero, ma non certo per difetto d’intelligenza. In realtà era (e, per quel che mi dicono, credo sia ancora) acutissimo. Assai di rado m’è capitato di incontrare uno che come lui sappia cogliere in pochi istanti i termini essenziali di qualunque problema. E poi di certo non si risparmiava allora. Oggi è di moda rivalutare i politici della prima Repubblica forse perché sempre di meno sono quelli che li hanno conosciuti. Se caddero come birilli sotto i colpi di Mani Pulite e nessuna voce si levò in loro difesa, è anche perché il popolo li avvertiva - e non a torto - lontanissimi da sé. Bossi fu, dopo tanto tempo, il primo leader fiero di essere - come lui stesso diceva - “popolare e popolano”.
Questa sua non comune capacità di spendersi forse spiega il suo fascino ipnotico, inspiegabile per chi non lo abbia conosciuto di persona. Non mi vergogno a dire che io stesso lo subii sin dal nostro primo incontro, ai primi del ‘91. Molti militanti della zona avevano occupato un campo in quel di Cavaria per impedire che vi fosse costruita una barriera autostradale la quale avrebbe imposto, per quella manciatina di chilometri che corre fra Gallarate e Varese, un pedaggio che agli occhi di tutti si manifestava come l’ennesimo odioso balzello imposto da “Roma ladrona”. Non militavo ancora nella Lega ma, giovane com’ero, ero attirato da quell’ancor più giovane movimento politico e mi trovavo anch’io lì, più per curiosità che per passione.
Aveva piovuto come Dio la mandava sino a pochi minuti prima... e all’improvviso Bossi lì capitò! Era alla guida di un’annosa Citroen dall’improbabile color vinaccia da cui discese avvolto in uno stazzonatissimo impermeabilino, per affondare coi piedi nel fango, come tutti. E come tutti fui subito preso dall’entusiasmo e dall’energia indomabili che da lui promanavano... Il resto è storia.
Detto per inciso, dopo quarant’anni dalla sua fondazione, per almeno una quindicina dei quali la Lega è stata al governo del nostro Paese, quella barriera autostradale non solo fu costruita, ma oggi è ancora lì, più bella e più forte che mai, e questo credo simbolicamente spieghi perché alla fine del ’97 le nostre strade (tutto sommato senza rancore) si separarono. La politica - ed il modo frenetico con cui lui vi si abbandonò - impose poi a Bossi un tributo fisico sin troppo oneroso. Sulle vicende che in seguito lo costrinsero a lasciare la guida di quella Lega che senza di lui ci sarebbe mai stata, non è questo il luogo per esprimersi. Credo che il tempo saprà rivelarsi più sagace dell’ondivago giudizio dei contemporanei con l’uomo a cui soltanto ora sento di poter rivolgere il mio affettuoso: «Avanti con coraggio, Umberto!».
** Oggi a Busto Arsizio, al Museo del Tessile, alle 16 ci sarà la festa per i 40 anni della Lega. Tra i presenti, anche il ministro Giancarlo Giorgetti e il governatore Attilio Fontana. Nell’occasione sarà presentato il libro “Il volo padano”, scritto da Marco Linari con racconti di Francesco Speroni **
© Riproduzione Riservata