FRUTTA
Giuggiole, un frutto dimenticato
Se si chiede a un adolescente se sappia cos’è una giuggiola, probabilmente la risposta sarebbe una risata sghemba e un’alzata di spalle. Forse si sarebbe più fortunati a rivolgere la stessa domanda a un adulto, ma non è detto che riesca a inquadrare per bene la forma e il sapore di questo frutto. Bisognerebbe farselo spiegare da una persona che di lustri ne ha parecchi per sentirsi descrivere l’aspetto rugoso della sua buccia brunastra, il gusto dolce e pastoso della sua polpa e il piacere di rubare dal barattolo di vetro un cucchiaio di marmellata fatta con questi frutti che maturano alla fine dell’estate.
FRUTTI RARI
Sì, perché le giuggiole fanno parte di quel gruppo di prodotti ortofrutticoli che in commercio si trovano ormai raramente: sono i frutti dimenticati e se fino a un’ottantina di anni fa erano invece vivi e vegeti, venduti nei piccoli negozi di quartiere o reperibili nell’orto dietro casa e presenti nelle cucine di quasi tutti, ora è difficile anche solo ricordarsi del loro aspetto. Questo “abbandono” della coltivazione di alcune specie e di varietà botaniche fa parte dell’evoluzione dell’agricoltura che nel corso del tempo ha prediletto varietà sempre più commerciabili, aspetto che nell’ultimo secolo - anche per lo sviluppo della grande distribuzione - si è oltremodo intensificato. Sono cambiati i gusti, le esigenze delle persone e del mercato e ora, nella nostra società moderna, un frutto si deve conservare più a lungo possibile, deve avere possibilmente una taglia grande e un bell’aspetto, deve possedere un gusto dolce e facile da identificare, e la sua coltura deve essere resistente, economica e redditizia. Questi aspetti hanno via via eliminato dalle dispense molti frutti del passato. La ricca biodiversità agricola si sta perdendo e secondo le stime elaborate dalla Fao, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, nel corso del secolo scorso è stato abbandonato il 75% di questa ricchezza.
UN PAESE RICCO DI FRUTTA
E il nostro paese, che ha sempre avuto un ricco patrimonio di specie e varietà di frutti, ha seguito questo trend: basti pensare che le mele, le pere, le ciliegie che troviamo oggi nei banchi dei supermercati sono solo una manciata delle decine e decine di varietà che esistevano in passato. Un capitale raccontato, per esempio, dalle tavole del pittore naturalista Bartolomeo Bimbi che presso la corte di Cosimo III dei Medici tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento ritrasse la frutta presente nel Granducato di Toscana: 10 varietà di albicocca, 26 di pesca, 66 di ciliegia, 30 di fico, 53 di mela, 109 di pera, 75 di susina, 75 di uva e ben 116 varietà di agrumi. Insomma, una lunghissima lista di frutta descritta in trattati botanici e di gastronomia, raccontata in saggi scientifici, tramandata da romanzi e documenti storici di cui oggi però si coltiva solo il 10%. Ed è proprio la consapevolezza di avere una biodiversità così elevata che ha mosso il mondo della ricerca italiana, delle università, delle istituzioni e degli agricoltori a catalogare, raccogliere e preservare la memoria e, quando possibile, tutelare anche gli ultimi testimoni esistenti di questi frutti antichi.
RISCOPRIRE I SAPORI DELLE BACCHE
E cercando nei vivai, nelle aziende agricole e negli orti botanici dove vengono coltivate si possono riscoprire i loro sapori e le loro forme: come quelli delle bacche della pianta del corbezzolo, “Arbutus unedo”, che sono piccole sfere rosse ricoperte da una buccia irregolare e dalla polpa gialla che si mangiano fresche o sciroppate, o le sorbole, i frutti del sorbo domestico che assomigliano a piccole pere e che una volta mature sono dolci e ricche di vitamina C, o le azzeruole, rinfrescanti, diuretiche e rifrescanti, o le corniole, succose e dal sapore acidulo che sembrano delle olive rosse. E poi le tante varietà di mele e pere, di ciliegie e albicocche, di susine, arance e limoni. Per non dimenticare i sapori antichi e per contribuire a preservare la biodiversità agricola del nostro paese.
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