CROCCANTEZZA
I grissini e l’effetto crunch
Nati nel 1679 a casa Savoia, il prodotto da forno si è diffuso velocemente. Oggi ne esistono vari tipi
Cosa hanno in comune Napoleone e Jimmy Fallon, il celebre condutture statunitense? Madonna, Jessica Biel e Maria Luigia d’Austria? Una passione che viaggia nei secoli ed è condivisa dagli italiani: i grissini. Irresistibili, sono nati a Torino nella seconda metà dei Seicento, nel 1679, quando a casa Savoia il medico di corte Teobaldo Pecchio conferisce al panettiere Antonio Brunero il compito di creare un pane che il rampollo e futuro re Vittorio Amedeo II possa digerire, senza mollica.
E così che dalla ghërsa nascono i grissini, anzi i gherssin. Sono di fatto lunghi bastoncini di pane croccante, molto leggeri e ben lievitati. La loro caratteristica: l’alta digeribilità, anche per chi soffre di gastriti. Le cronache raccontano che, divenuto re, Vittorio Amedeo II fosse solito portarsi dietro i grissini che si diffusero velocemente. Mentre, sembra che il Re Sole ne rimase deliziato, ma i suoi cuochi non riuscirono a replicarli in modo soddisfacente e bisognerà attendere Napoleone per la vera diffusione in Francia: li amava tantissimo tanto da farseli spedire da Torino a Parigi chiamandoli i piccoli bastoni torinesi, i “petits bâtons de Turin”.
Mentre restando in Italia e proprio a casa Savoia, la figlia del re Carlo Emanuele III, Felicita di Savoia venne ribattezzata “principessa del grissino” dopo aver posato un quadro con il noto bastoncino in mano. Ne era ghiottissima. Ma non era l’unica, re Carlo Felice li sgranocchiava continuamente anche al teatro Regio, tanto da risultare molesto disturbando la platea. Questo sostituto del pane, orgoglio torinese e piemontese, colpì anche la fantasia di Emilio Salgari, veronese trasferitosi a Torino che per la città coniò il nome Grissinopoli. Tra il serio e il faceto, proprio per questa passionaccia e orgoglio cittadino. Ora, Grissinipoli è il nome che viene usato in città per servire una bistecca alla milanese (la famosa orecchia d’elefante) ma con una panatura fatta di grissini sbriciolati.
Questa passione però non è solo sabauda, questo prodotto da forno leggero, friabile e digeribile secondo alcune ricerche di mercato condotte negli anni, ne vanno pazzi 7 italiani su 10 e apprezzano soprattutto la sua croccantezza. C’è ora chi li sbriciola nelle minestre o nelle vellutate e addirittura li usa nelle impalcature per renderli particolarmente croccanti. Amati nella versione light per chi segue un regime controllato - dunque senza burro o strutto - perché sono appaganti grazie a quell’effetto “crunch”, ovvero il cibo croccate appaga il cervello tanto da ridurre del 30 per cento l’assunzione di calorie.
Certo che con questi sostituiti del pane bisogna però essere attenti alle quantità, uno tira l’altro, e anche agli ingredienti usati. Una porzione da 100 grammi di grissini torinesi ha circa 430 calorie. Mangiandone 50 grammi come l’equivalente di un panino piccolo o una mini porzione di pasta le calorie scendono a 215. Di solito si acquistano al supermercato, ma anche nelle panetterie di nicchia vengono prodotti in alcuni giorni della settimana o magari su ordinazione.
Perché si fa presto a dire “grissino”, ma ne esistono vari tipi: i classici rubatà che deve il nome al movimento fatto dal fornaio nell’arrotolarlo o gli stirati. Ancora: il classico è all’acqua, ma il fratello all’olio è senza alcun dubbio il più gustoso. Lo stirato è torinese a tutti gli effetti mentre il rubatà è quello di Chieri. La particolarità degli “stirati” è che vengono fatti tirando i due lembi dell’impasto già tagliato come uno sfilatino, la lunghezza è quella della teglia. Non resta che sgranocchiarli.
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