STORIA DI NATURA
Il gusto e l’olfatto negli animali
I “nasi fini” sono gli anfibi, seguiti dai mammiferi e dalle tartarughe. Anche l’uomo ha i chemiorecettori
La chemiorecezione, ossia la capacità di percepire elementi del mondo circostante attraverso il senso del gusto o dell’olfatto, è una modalità sensoriale essenziale per la maggior parte degli animali. Il riconoscimento di specifiche sostanze chimiche è utile per trovare cibo, per comprendere se un frutto è al giusto stadio di maturazione, per individuare conspecifici con cui interagire, ma anche per mettersi in sicurezza evitando, ad esempio, potenziali predatori. La chemiorecezione è anche un importante metodo di comunicazione intraspecifica.
Anche l’uomo, contrariamente a qual che si pensa, ha un ottimo senso dell’olfatto (e del gusto) ed è in grado di captare diverse migliaia di profumi differenti. Possiamo, ad esempio, riconoscere degli odori dolciastri, percepire che sono diversi tra loro, anche se non li riusciamo a classificare nettamente. La variabilità e la tipologia di stimoli chimici che gli animali possono percepire dipende principalmente dalla diversità dei chemiorecettori che possiedono, cioè da organelli microscopici costituiti da terminazioni nervose che sono sensibili a stimoli chimici, ovvero al contatto con particolari molecole. Nell’uomo ci sono circa 900 recettori in grado di rilevare le molecole responsabili delle diverse fragranze presenti nell’aria, informazioni che poi vengono decodificate dal cervello. I roditori, invece, di questi recettori ne hanno quasi duemila: ma non è tanto il numero dei recettori che conta, nel riconoscimento degli odori, quanto la combinazione recettoriale che deriva dall’associazione di questi sistemi di sensori.
Nel mondo animale i “nasi fini” sono gli anfibi, seguiti dai mammiferi e dalle tartarughe, gruppi di specie in cui sono presenti i repertori di recettori più ampi. Nei vertebrati marini (balene, delfini, foche e otarie), invece, si nota un’evidente riduzione. Questo perché i chemiocettori sono comparsi primariamente in ambiente terrestre, per il “tracciamento” di sostanze in aria, e in acqua perdono la loro efficacia. Gli anfibi hanno anche il più ampio repertorio di geni per i recettori del gusto, superiore a qualsiasi altro gruppo di vertebrati, fatta eccezione per il celacanto (Latimeria chalumnae), un primitivo pesce di grossa taglia che vive nei fondali dell’Oceano Indiano. Un’altra specie con un elevata sensibilità gustativa è l’echidna istrice o echidna dal becco corto (Tachyglossus aculeatus), un antico mammifero che depone uova per riprodursi e che è diffuso in gran parte dell’Australia e delle isole vicine.
Ma non è da meno il pesce gatto (Ameiurus melas): questa specie ha uno dei sensi del gusto più performanti nel mondo animale, ma curiosamente i recettori sono assenti sulla lingua e presenti attorno alla bocca e anche su tutto il resto del corpo: una chemiorecezione a “tutto tondo”. L’elefante asiatico (Elephas maximus indicus) e le due specie africane, ossia l’elefante di savana (Loxodonta africana) e l’elefante di foresta (Loxodonta cyclotis), attraverso le loro proboscidi “tuttofare” (afferrano oggetti, spostano materiali, portano il cibo alla bocca...) sono in grado di distinguere alla perfezione profumi e fragranze. I recettori presenti nella proboscide consentono infatti a questi pachidermi di selezionare le foglie o i frutti più prelibati e interessanti, ovvero più appetibili.
In effetti possiamo descrivere “l’appetito” con il concetto del “desiderio di mangiare” ...nell’uomo, in cui entrano in gioco una pluralità di effetti, potrebbe essere descritto come un “desiderio appassionato di cibo”. Entrambi questi concetti furono usate dal famoso Ivan Petrovich Pavlov (1849-1936) nelle sue “Lezioni sul lavoro delle ghiandole digestive” pubblicate nel 1897 e dove viene descritto il cosiddetto “riflesso Pavloviano”, ossia quel riflesso condizionato in grado di provocare il verificarsi di una determinata reazione involontaria (ad esempio la salivazione di un cane al suono di un campanello, pur senza somministrazione di cibo, al quale era stato assuefatto).
Il senso dell’olfatto è un motore centrale dell’appetito, della ricerca del cibo e della preferenza alimentare nei vertebrati, compreso l’uomo. È sorprendente invece che Pavlov, più id cent’anni fa non abbia per nulla considerato l’olfatto come una componente importante della fase “psichica” dell’alimentazione. È evidente ormai come i molteplici ruoli del senso dell’olfatto, anche negli aspetti edonistici dell’alimentazione svolgano un ruolo di primaria importanza, in particolare per la nostra specie. Dovremmo forse rivedere il concetto ottocentesco di Anthelme Brillat-Savarin che, nel suo testo divagante tra scienza e filosofia “Physiologie du Goût” diceva «Gli animali si sfamano, l’uomo mangia, solo l’uomo d’ingegno sa mangiare».
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