IN TRIBUNALE
Dalla cantina un «odore particolare»: i carabinieri scoprono 400 piante di canapa
Un 36enne di Carnago dovrà scontare due anni e otto mesi di reclusione oltre a pagare 8.000 euro per coltivazione di sostanze stupefacenti a fini di spaccio

Quando passavano davanti a quella casa di Carnago, i carabinieri sentivano sempre nell’aria un odore particolare. Quel profumo li insospettì e così, nel gennaio del 2022, i militari della Stazione cittadina bussarono alla porta per una perquisizione dell’abitazione in cui viveva un insospettabile padre di famiglia, con moglie e figli. E nella cantina gli investigatori trovarono la conferma ai loro sospetti: l’uomo, 36 anni, aveva infatti allestito una serra con quasi 400 piante di canapa, dalle quali avrebbe potuto ricavare circa 35mila dosi di marijuana. Per questo motivo, il carnaghese fu denunciato per coltivazione di sostanze stupefacenti a fini di spaccio.
IL PROCESSO
Ieri, mercoledì 14 maggio, la giustizia ha presentato il conto al trentaseienne, processato con rito abbreviato dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Varese, Niccolò Bernardi: difeso dall’avvocato Augusto Basilico, è stato condannato a due anni e otto mesi di reclusione, oltre a 8.000 euro di multa (il pubblico ministero aveva chiesto una pena di tre anni e mezzo e 45mila euro).
COLTIVAZIONE CASALINGA
In quello scantinato gli inquirenti sequestrarono 132 piante in fiore, 135 potate e altre 121 in fase di germoglio. Per un totale di 388 piante di cannabis. Che avrebbero “fruttato” – così ha stabilito il consulente tecnico incaricato di esaminare la piantagione domestica e il principio attivo della canapa – la bellezza di 34.909 dosi di droga da mettere sul mercato. Nel “carniere” dei carabinieri finirono anche una sessantina di grammi di marijuana, ma anche un paio di bilancini di precisione e una macchina per sottovuoto. Nel locale interrato erano state pure installate le lampade per mantenere nella serra fai da te la temperatura ideale alla crescita delle piantine proibite. Insomma, in quella casa c’era tutta l’attrezzatura necessaria per coltivare e poi rivendere le sostanze stupefacenti. Del resto, di fronte a quantità così elevate era anche impossibile sostenere che tutto il “sistema” fosse finalizzato al consumo personale della droga. Peraltro, ad aggravare la posizione dell’imputato c’era la recidiva: era infatti già stato indagato e condannato per lo stesso reato.
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