DOLCE NATALIZIO
La sommelier del panettone: il piacere dell’assaggio
La giornalista gastronomica Chiara Cajelli gusta le specialità per decretare la migliore: dall’etichetta all’impasto, dal colore agli ingredienti
Qual è il panettone è più buono? Quello che ci piace, come direbbero i bambini senza farsi troppi scrupoli. Buono, anzichenò. Eppure c’è un modo, una macchina della verità che rende infallibili gli assaggi dei “sommelier dei panettoni”.
Una assaggiatrice del dolce milanese lievitato è Chiara Cajelli, varesotta, 38 anni, giornalista gastronomica e appassionata di pasticceria. Scrive di cibo, come professione, da undici anni: ha iniziato a Giallozafferano e ha “gustato” numerose realtà e redazioni del settore. Dissapore è la sua seconda casa dal 2019 ed è proprio nel suo ruolo di responsabile di settore che si cimenta nella prova panettone. Ne avrà assaggiati migliaia negli ultimi anni, la preparazione impegna tutto l’anno per poi dare la sua opinione sul dolce grande lievitato di origine milanese al fine di decretare quale sia il migliore.
C’è anche un modo per confermare che i voti corrispondano anche alle sensazioni di gusto piacevole provate durante l’assaggio, spiega Chiara Cajelli a Oltre: «Oltre ad allenarci con l’esperta Stefania Pompele, abbiamo il supporto tecnico di Thimus che ci consente di lavorare sui campioni alla cieca, restituendovi risultati rapidi e certi. Ovvero: si ha la conferma che in quel momento si ha avuto un coinvolgimento neurofisiologico piacevole». Insomma una vera e propria macchina della verità usata per confermare che il morso di panettone abbia davvero fatto “salivare” le papille gustative, generando un piacere che in quel momento viene rilevato anche dal macchinario che compie una elettroencefalografia wireless. Vietato barare, dunque.
In questo modo l’assaggio alla cieca conferma che in quel momento il “sommelier del panettone” sta avendo davvero una esperienza gradevole e misurabile che poi si tradurrà in un giudizio secondo alcuni parametri. Ricapitolando cosa accade? «Gli assaggi vengono fatti alla cieca, indossiamo questo caschetto che rileva le emozioni che si provano durante l’assaggio. Per dare il voto seguiamo una griglia con parametri prefissati per dare le valutazioni rispetto al panettone».
Una particolarità: come con il vino, i sommelier dei panettoni non mangiano tutti panettoni. In altre parole il panettone non viene ingerito, ma sputato. Cajelli tiene a precisare anche un aspetto: «Al momento non esiste nessun sommelier del panettone certificato. Nel nostro caso, cerchiamo di avere un approccio molto serio e rigoroso. Non è escluso che in futuro però si possa avere una certificazione di sommelier del panettone, anzi sarebbe un’idea».
Si tratta di una sorta di titolo e invenzione giornalistica ma che alla luce di come si svolgono gli assaggi dei panettoni artigianali, non è escluso che il prossimo anno si sdogani la figura. Del resto ci sono tantissimi concorsi, oltre al campionato mondiale. E dunque perché non certificare chi è esperto e ha assaggiato migliaia e migliaia di panettoni, vantando un allenamento e una raffinatezza nell’assaggio. Quali sono gli elementi da guardare per un panettone artigianale?
«Partiamo dal presupposto: il panettone artigianale comporta per le famiglie un piccolo investimento. Il prezzo varia, parliamo di almeno 35/40 euro al chilo e si va salire. Deve essere buono: non ci sono scuse». Si parte dall’etichetta: la lista degli ingredienti deve essere breve, la scadenza entro marzo 2024, altrimenti c’è qualcosa che non va. Aprendolo deve avere una crosta omogenea e marroncina, senza avvallamenti, così come sotto la crosta non deve avere quella “riga” spessa che vuol dire che la lievitazione non è stata ottimale oppure è un po’ sottocottura. Ma c’è una regola legata alla lievitazione: gli alveoli. «Li vedete trionfare sui social e nei panettoni fatti a casa. Non devono essere grandi e giganti. Il panettone non deve essere troppo bucato». Poi non deve sapere di alcol o burro fermentato. I canditi devono esserci e devono essere con la scorza e saporiti, così come l’uvetta che non deve essere piccola. «Devono sentirsi sia canditi che uvetta, in modo bilanciato», conferma Cajelli.
Il migliore per Cajelli quest’anno è quello di Luca Rubicondo di Solarolo, mentre quello del territorio è di Roberto Valbuzzi, infine quello della grande distribuzione delle Tre Marie. «Sono gusti personali», ci tiene a specificare la sommelier per restare umile. A naso, però, c’è da fidarsi.
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