AMBIENTE
L’arresto di “Capitan Harlock”
La guerra contro l’ambiente da parte del Giappone non si ferma mai
Appare così improbabile uno scenario nel quale le macchine hanno sostituito l'uomo nei lavori più comuni? Un mondo in cui, a causa dell'avidità e della sciatteria umana, i mari sono allo stremo e le risorse naturali scarseggiano, mentre la classe dirigente pensa solo a solidificare il proprio potere negando l'evidenza dei gravi problemi che affliggono il pianeta? E intanto la gente comune, sempre più anestetizzata, vive in uno stato di perenne indifferenza rispetto a quanto accade al resto del mondo mentre chi cerca di opporsi allo stato delle cose è trattato come un pirata pericoloso e da emarginare.
In gran parte tutto ciò è già realtà ma questo quadro non è frutto di studi sociologici, bensì è, nientemeno, la trama di Capitan Harlock, leggendario manga giapponese del 1977, noto in Italia per la serie animata trasmessa un paio di anni dopo dalla Rai e poi da un'infinità di tv locali. Il tema ecologico è centrale in quest'opera visionaria ma anche preveggente, una delle tante tracce del legame con la natura da sempre fortissimo nel paese del Sol Levante. Può sorprendere quindi come proprio il governo del Giappone, da sempre, sia uno dei meno ecologisti del pianeta ma è forse proprio questo ad aver stimolato gli artisti, da sempre espressione di uno sguardo controcorrente, a porre l'accento su tematiche così spinose per l'establishment.
Ma la battaglia è lunga, dolorosa e ben lontana dall'essere vinta, come conferma l'ennesimo episodio verificatosi nei giorni scorsi. È stato infatti arrestato Paul Watson in base a un mandato d'arresto internazionale emanato addirittura nel 2012. Soprannominato non a caso proprio il Capitan Harlock dei mari, il 73enne attivista animalista era in partenza per una spedizione navale in Groenlandia, atta a intercettare la Kangei Maru, ammiraglia della flotta baleniera giapponese, talmente evoluta da essere un'autentica industria galleggiante, in grado di lavorare il pescato direttamente in viaggio. Peccato che, dopo uno stop per rifornimento a Nuuk, capitale del paese che fa parte del regno di Danimarca, la polizia del luogo abbia arrestato Watson mettendo così a serio rischio la missione e appoggiando di fatto l'atteggiamento del governo giapponese, tra i pochi al mondo a rifiutarsi di aderire alla moratoria internazionale per la caccia alle balene. Le quali stanno assumendo sempre più il significato reale dell'opera che ha reso leggendario questo meraviglioso cetaceo, “Moby Dick”. Non il simbolo della pericolosità della natura bensì di come l'egoismo dell'uomo lo possa portare all'autodistruzione. La balena bianca non era un nemico reale per il capitano Achab, era il folle comandante del Pequod ad averlo reso tale per giustificare a se stesso le proprie frustrazioni.
E ci pare di poter dire che non siamo molto distanti da questa lettura, perché una civiltà sempre più avida di risorse, non si rende conto di come il pianeta che abita stia morendo più rapidamente di quanto possa sembrare. E il silenzio internazionale sulla vicenda di Paul Watson è un segnale oltremodo preoccupante.
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