AEREI
L’ultimo volo del Barone Rosso
Domenica 21 aprile 1918. Dopo quattro anni terribili, la guerra non era ancora finita. Alle 10.45 nove triplani Fokker tedeschi, dipinti con colori sgargianti, decollarono dal campo di Cappy, nella Francia del nord: stavano arrivando i Sopwith Camel, i biplani della Royal Air Force britannica.
Subito si accese un combattimento. Alle 10.55, Manfred von Richthofen vide suo cugino Wolfram in difficoltà: aveva in coda il Sopwith di Wilfrid May, un tenente canadese, pronto a mitragliarlo. Il Fokker iniziò l’inseguimento ma dietro gli spuntò il capitano Roy Brown e iniziò a sparare, mentre Wolfram si era allontanato.
I tre aerei volavano a bassissima quota, sfiorarono tetti e campanili e si spostarono verso la valle della Somme. Era una giornata tersa, non si vedeva l’orizzonte: ma alla cloche del Fokker inseguito dai biplani c’era Manfred von Richthofen, il Barone Rosso. A soli 25 anni aveva già abbattuto 80 aerei: il più grande pilota del mondo, una leggenda vivente.
Di famiglia nobile, prussiano, era un tenente di cavalleria. Scoppiato il conflitto, però, aveva capito: si combatteva in trincea e, diceva, «la cavalleria è inutile in questa guerra». Così, nel 1915 era passato in aviazione. Un talento naturale: freddo, carismatico, spietato. Poco dopo gli avevano affidato il comando di una sua squadriglia: il «Circo volante», perché per distinguersi e vedersi i piloti avevano dipinto i loro aerei. Il suo, inconfondibile, rosso.
Nessuno combatteva come lui, per inglesi e francesi era un incubo: si diceva ci fosse una taglia per chi fosse riuscito ad abbatterlo. Al contrario, naturalmente, in Germania lo veneravano: giravano cartoline con il suo viso, biondo, audace e di bell’aspetto. Le folle lo circondavano per gli autografi, le fanciulle lo sommergevano di proposte di matrimonio.
I giornali, poi, contribuirono alla costruzione del mito: «negli occhi di Richthofen brilla l’orgoglio del cavaliere in guerra», scrivevano. Il Barone Rosso e i suoi guerrieri venivano paragonati ai signori medievali, «con i loro stendardi scintillanti, i blasoni e le bandiere di battaglia».
In effetti Richthofen dominava il cielo con la consapevolezza di essere invincibile. Il suo segreto: sparava poco e da vicino, a colpo sicuro.
Invece, quel 21 aprile commise due errori imperdonabili. Ignorò la regola principale: mai attaccare da solo. Ma soprattutto, forse per stanchezza, non si era accorto di aver inseguito il nemico nel territorio alleato, sopra le linee dei nemici.
Così, alle 10.58, il Barone Rosso si trovò in mezzo a una tempesta di fuoco: dal cielo i due Sopwith, da terra i fucili dei mitraglieri britannici. Due minuti dopo, alle 11 esatte, il Fokker rosso tentò di virare per tornare indietro, ma, sbandando a destra, atterrò nella terra controllata dagli australiani, a Vaux sur Somme.
Alcuni soldati corsero a controllare. Per alcuni von Richthofen era riuscito miracolosamente ad atterrare e, prima di morire, sospirò: «kaputt». Per altri invece, il suo corpo era già riverso sulla cloche quando lo trovarono.
Incredibilmente, era stato colpito da un solo proiettile. Un calibro 303, entrato dalla parte destra del busto, gli aveva perforato il cuore.
In segno di rispetto, il 23 aprile gli inglesi officiarono il suo funerale con gli onori militari. Sulla tomba posero una placca: «al nostro valoroso e degno avversario». Un atto di straordinaria cavalleria. Poi la guerra finì, e i resti tornarono in Germania.
Ma chi lo aveva ucciso? Se ne discute da cent’anni: per alcuni Roy Brown, che infatti in Canada fu celebrato come un eroe nazionale. Per altri invece i soldati australiani da terra, forse con un colpo casuale. Il mistero rimane irrisolto, e nel frattempo il Barone Rosso continua a solcare i cieli, immortale, almeno nei sogni di Snoopy, quando immagina di essere l’«Asso della Prima guerra mondiale», con sciarpa, occhialoni e caschetto.
Eppure, neanche il brachetto di Charlie Brown riesce ad abbatterlo, e anzi si ritrova sempre la cuccia-Sopwith Camel crivellata di buchi: «Sii maledetto, Barone Rosso!».
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