IL PROCESSO
«Era geloso e violento: avevo paura di morire»
In Tribunale a Varese il racconto di una donna fuggita di casa. «Dopo la separazione mi seguiva anche sul lavoro»
«Mi umiliava, anche davanti ad altre persone, gridandomi “Non vali un ca...”. Mi picchiava e mi diceva “Ti ammazzo! Mi devi rispettare perché sono io l’uomo di casa”. Non l’ho denunciato prima poiché avevo paura di morire. Ma poi è diventato sempre più violento e così sono scappata di casa». Nell’ennesimo processo per maltrattamenti in famiglia è una donna di 45 anni a raccontare un copione già sentito molte volte nelle aule del Tribunale: una storia d’amore che con il passare del tempo si trasforma in una storia di violenza e sopraffazione, complice anche la gelosia, e si conclude con la separazione. Una storia che, in questo caso, ha portato lui - un sessantenne varesino - in carcere per violazione del divieto di avvicinamento alla ex, misura cautelare emessa dopo le prime denunce della vittima.
«Mi chiamava tutti i giorni, me lo trovavo sotto casa oppure davanti al negozio in cui lavoro - ha continuato la persona offesa (costituita parte civile con l’avvocato Romana Perin) - Ho dovuto cambiare le mie abitudini, tanto che alla sera, al termine del turno, venivano a prendermi i miei genitori».
Dichiarazioni che hanno spinto il pubblico ministero, Lucilla Gagliardi, a valutare l’ipotesi di modificare il capo di imputazione, aggiungendo il reato di atti persecutori; una variazione che potrebbe essere formalizzata nella prossima udienza, in programma il 3 dicembre. Accuse alle quali l’imputato (difeso dall’avvocato Corrado Viazzo) ha reagito scrollando ripetutamente la testa, in evidente segno di disapprovazione.
Una storia cominciata nel 2019, quando lui viveva ancora con la moglie. Nel 2022 i due vanno a convivere, ma presto iniziano i problemi: «Aveva atteggiamenti violenti e la gelosia era una costante. Era convinto che io avessi altri uomini, al punto che un giorno, quando andai a rinnovare la polizza per l’auto, si insospettì perché ci misi troppo tempo. Salito in ufficio, aggredì sia me, con insulti e pugni, sia l’assicuratore: “Come ti sei permesso di farti la mia donna?”». Aggressioni che non sempre lasciavano il segno sul corpo della donna: «Una volta mi ha fatto un occhio nero, ho ancora le foto. Ma in altre occasioni mi picchiava con l’asciugamano bagnato per non far restare tracce». E poi le minacce («Se ti trovo con un altro, ti faccio male») e le umiliazioni: «Un giorno, poiché mi ero rifiutata di obbedire a un suo ordine davanti a un suo conoscente, mi fece inginocchiare e mi chiese di baciargli le mani per chiedergli scusa, perché, disse, non dovevo fargli fare brutta figura».
In aula anche il fratello e la madre della donna: «Il loro era un rapporto malato, lei era soggiogata, terrorizzata. Non le concedeva di passare con noi nemmeno le feste di Natale. Per vedere mia figlia dovevo andare a trovarla in negozio».
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