SUL PALCO
Jacopo Fo e le canzoni di Dario, buona la prima
Tutto esaurito al Liceo musicale di Varese
Buona, molto buona, la prima. Al suo debutto Jacopo Fo e le canzoni di Dario Fo ha dimostrato di essere uno spettacolo made in Varese già pronto per l’esportazione. Sabato 9 novembre, all’Auditorium del Civico Liceo Musicale pieno come un uovo, la prima sorpresa arriva dalla disposizione sul palco.
Il figlio d’arte non è al centro della scena, consegnata al batterista Francesco Mascarello, ma sul lato sinistro. Buon ultimo, unico sempre in pé, per dirla con Veronica, uno dei brani proposti. Vicine a lui, presenze non annunciate, Sarah Collu e Valentina Grecchi, attrici danzanti. La sorpresa maggiore è che Jacopo non canta, lascia che a farlo siano, ottimamente, Alessandro Cerea, al piano, Andrea Minidio, chitarra e fisarmonica, e Rossella Pennisi. Lei a regalarci l’intensa interpretazione di Stringimi forte i polsi (portata al successo da Mina), con Ma che aspettate a batterci le mani, scelto come apertura, Ho visto un re e Vengo anch’io. No tu no, tra i pezzi, tutti cofirmati da Dario Fo, presentati.
Bello, certo, persino confortante visto come vanno le cose oggi, ma a fare la differenza sono state le canzoni meno note e i racconti di Jacopo. Il coro degli spazzini - ancora al riparo dalla disputa Biden-Tramp - L’inno del burocrate, il Canto delle svergognate, Il foruncolo e Hanno ammazzato il Mario in bicicletta (valorizzato all’epoca da Ornella Vanoni) sono alcuni dei venti titoli pescati in un repertorio che parte dagli anni Cinquanta per arrivare alla fine del decennio successivo. Non c’è ancora la canzone politica in senso stretto - addavenì Ci ragione e canto - ma si percepisce che qualcosa è nell’aria.
«Mio padre, affiancato da Fiorenzo Carpi e da Enzo Jannacci, ma Veronica è anche opera di Sandro Ciotti, quel Sandro Ciotti, scrisse canzoni che non rispettavano per nulla le regole imperanti nella musica leggera».
Nonsense ma non solo come scopriranno («In ritardo») in casa Rai quando scoppierà il caso Canzonissima con Franca Rame e compagno d’arte e di vita messi sotto accusa per sketch che portano in tv temi quali le morti sul lavoro e la mafia. Era il 1962!
Pensandoci, i motivi di amarezza non mancano, ma Jacopo Fo - che dice la sua anche sulle affinità elettive tra Via del Campo di Faber e La mia morosa la va alla fonte di Jannacci - non appartiene alla categoria dei nostalgici, secondo lui l’umanità sta assai meglio oggi che in passato. Se poi dietro le nuvole ci sia il sol tanto sognato non è dato a sapersi (lo ignora persino Nanni Moretti che pure ci aveva preso sulle dimissioni del Papa), di certo questo è uno spettacolo riuscito, al contempo leggero e profondo. Al buon esito contribuiscono in modo determinante Matisse Berge al contrabbasso (band tutta varesina) e gli arrangiamenti in profumo di jazz curati da Cerea, già in evidenza nella rassegna Ciao Franca per l’omaggio a Jannacci in Parlare coi limoni. Miglior biglietto da visita resta però la gioia collettiva sintetizzata perfettamente da Minidio, polistrumentista dal sorriso autentico. E la presenza tra il pubblico di Francesca Alberti, artista circense nata in pieno riflusso. Davvero Anche per oggi non si vola?
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