STORIE OLIMPICHE
Olimpiadi 1976: Nadia Comaneci e il “10 perfetto”
Ai giochi estivi di Montreal, Canada, una quattordicenne ha scritto un pezzo di Storia della ginnastica artistica
18 luglio 1976, Montreal, Canada. Le XXI Olimpiadi sono iniziate da due giorni, aperte dalla regina Elisabetta in completo rosa shocking. Sfarzosa, la cerimonia: ballerine, colpi di cannone, colombi e nastri colorati liberati nel cielo. Eppure, ai Giochi manca “un cerchio”. Si sa, i cinque cerchi olimpici rappresentano i cinque continenti uniti nello sport: ma, a sorpresa, 27 Paesi africani - tutti tranne la Costa d’Avorio e il Senegal - non si sono presentati alla sfilata. Il “cerchio” dell’Africa boicotta le Olimpiadi per protesta contro la Nuova Zelanda, colpevole di mantenere rapporti sportivi con il Sud Africa dell’apartheid razzista. Del resto lo sport è anche un “medium di massa”, trasmette informazioni, valori e principi. E le Olimpiadi, con una platea di un miliardo di persone, sono un palcoscenico unico.
Comunque, il 18 luglio inizia la gara di ginnastica artistica. Alle parallele asimmetriche si presenta la romena Nadia Comaneci, pettorale numero 73. Una bambina, o poco più: 14 anni e 8 mesi, alta 153 cm per 40 chili. Ma non è una sconosciuta: ha vinto gli europei “all-around” in Norvegia l’anno prima.
Ha iniziato a 6 anni. Il suo maestro Bèla Kàroly gestiva una società sportiva e si era presentato alla scuola elementare per trovare nuovi talenti. «Chi sa fare la ruota?», aveva chiesto, e Nadia aveva alzato la mano.
Così era entrata nel programma. Bèla era una sorta di padre, ma anche un despota: Nadia doveva sottostare a un regime da caserma spietato, comprese minacce e forse anche botte e schiaffi.
Kàroly ha sempre negato, ma sembra che ai suoi metodi si siano ispirati gli sceneggiatori di Rocky 4 per gli allenamenti di Ivan Drago, quello del “ti spiezzo in due” a Sylvester Stallone. Nondimeno, Nadia non si fermava mai: se Bèla chiedeva 10 flessioni, lei ne faceva 15.
Quel giorno si presenta con un body bianco rigorosamente a maniche lunghe, frangetta e coda di cavallo con un nastro bianco e rosso.
Saluta i giudici e salta sulla parallela. L’esercizio dura 25 secondi, ma sono più che sufficienti: sembra una libellula, esegue volteggi ed evoluzioni con una grazia e una ampiezza abbaglianti. Per alcuni sembra Trilli, la fatina alata di Peter Pan. Il pubblico è sbalordito, Nadia termina tra gli applausi ma la votazione tarda a comparire. Poi, sul tabellone elettronico compare un misero “1,00”. Sono tutti disorientati. Pochi secondi dopo però si capisce: i tabelloni hanno punteggi a tre cifre, il massimo è quindi 9,99, perché ottenere “10” cioè la perfezione assoluta - è considerato impossibile.
Fino a quel momento. Dagli spalti sale prima un clamore, poi un boato: l’1,00 significa appunto il “10 perfetto”, il primo nella storia della ginnastica. E non basta, nei giorni successivi alle parallele e alla trave prende altri sette “10”: incredibile.
È nata una leggenda: Nadia vince tre ori e quattro anni dopo, alle Olimpiadi di Mosca, altri due.
Al ritorno a Bucarest è accolta come un’eroina, riceve 250 lettere al giorno, ma diventa anche un trofeo propagandistico del regime di Ceausescu.
Il dittatore la ricopre di gioielli e di onorificenze - anche “eroe del lavoro socialista” - le regala una villa e una macchina. Ma vive sorvegliata, non può uscire dal Paese e, a 17 anni, è costretta a diventare l’amante del figlio di Ceausescu, Nicu. Un inferno: tenta il suicidio bevendo la candeggina poi, mentre cade il Muro di Berlino fugge con sei amici, con i soli vestiti che indossa, a piedi, di notte, nel fango, con il terrore di essere catturata.
Il 28 novembre 1989 attraversa il confine con l’Ungheria, raggiunge Vienna e chiede asilo politico. Il 2 dicembre è a New York. Ceausescu viene giustiziato 23 giorni dopo.
Una nuova vita: nel 1996 sposa il collega Bart Conner e nel 2006 nasce il figlio Dylan. Oggi gestisce con il marito l’Accademia di Ginnastica in Oklahoma che conta circa mille studenti, fa l’imprenditrice e ha fondato la “Clinica per bambini” a Bucarest. E pensare che in palestra ci era andata solo “per giocare, fare i salti e per fare cose che mia mamma non mi faceva fare a casa”.
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