HOMO SELVADEGO
Se ti avvelena il toporagno
Accattivanti, morbidi, simpatici, questi sono in genere gli aggettivi che ci evocano i mammiferi. Non tutti chiaramente, alcuni non risultano così attrattivi per noi umani. Ma sicuramente non ci viene immediato associare i mammiferi alla presenza di veleni o tossine. Nel nostro immaginario sono in particolare i serpenti ad avere questa temibile caratteristica, anche se ahimè, spesso la estendiamo immeritatamente anche a innocui ofidi, che purtroppo a volte ne pagano ingiustificate e nefaste conseguenze.
Quando parliamo di veleni, sappiamo che dal punto di vista evolutivo si sono affermati, in alcune specie in particolare, per garantirsi più agilmente la cattura delle prede o come protezione dai predatori ed eventualmente per ridurre il carico parassitario. Ma assai rari sono i mammiferi moderni che usano i veleni con queste finalità. Si contano sulle dita di una mano: l’ornitorinco, il solenodonte dei Caraibi e alcune specie di toporagni (famiglia dei Soricidi). Nel passato è sempre stato così? Probabilmente no. Anche tra i mammiferi, anticamente, l’uso del veleno salivare era più diffuso e specializzato rispetto a quel che riscontriamo attualmente, ed era presente anche in mammiferi che risultano essere evolutivamente lontani dai moderni insettivori, gli unici che mantengono questi tratti di velenosità insieme all’ornitorinco. Lo si può dedurre analizzando la forma dei denti fossili, da cui si evidenzia che i canini di alcune specie estinte di mammiferi presentano un solco nel quale scorrevano le tossine prodotte dalle ghiandole salivari. Nei moderni insettivori velenosi non abbiamo denti specializzati nell’iniezione del veleno salivare, tuttavia, il secondo incisivo inferiore è ingrandito e la sua corona è profondamente scanalata, facilitando il compito di veicolare le tossine. Niente a che spartire con Elapidi e Viperidi, le famiglie che includono i serpenti velenosi, accomunati dalla presenza dei «denti del veleno». Questi presentano una cavità interna per consentire l’iniezione del veleno. Una vera e propria siringa ante litteram. Tornando al mondo teriologico, le specie di mammiferi che producono tossine lo fanno attraverso una ghiandola salivare sottomascellare modificata e utilizzano la dentatura anteriore come apparato di somministrazione del veleno. Tranne l’ornitorinco, che possiede uno sperone velenigero sulle zampe posteriori. Anche in Italia abbiamo due tra le specie di mammiferi considerate maggiormente velenose (ma che ovviamente sono del tutto innocue per l’uomo). Si tratta delle due specie di toporagno d’acqua del genere Neomys. Specie per altro assai rare, legate a torrenti con buona qualità delle acque. I toporagni d’acqua predano anche rane e pesci uccidendoli con un morso alla nuca, non tanto per una azione meccanica ma proprio grazie alle tossine salivari che iniettano con il morso. Ma che sostanze sono le tossine utilizzate dai mammiferi? Nei Soricidi sono state isolate la soricidina, che ha effetti paralizzanti, e la blarina, che oltre alla paralisi induce convulsioni, dispnea e ipotensione. Entrambe queste sostanze sono oggetto di studi farmacologici per valutare possibili applicazioni medicinali. Già, perché un’altra apparente stranezza è proprio questa: i veleni degli animali sono composti da diverse classi di molecole che mostrano un’ampia attività farmacologica. Composti a base di tossine possono essere utilizzati come strumenti diagnostici, come molecole sperimentali per specifici bersagli terapeutici, prototipi per la progettazione di farmaci, cosmetici e agenti terapeutici. A sottolineare che dagli elementi della natura si può ricavare molto di positivo, anche dall’apparente negatività.
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