DA VISITARE
Casa Bagatti Valsecchi: volete vivere nell’arte? Prego entrate
Dal 1994 è una casa museo nel quadrilatero della moda milanese. Le collezioni dei due fratelli si dispiegano di stanza in stanza. Una dimora con due anime: ottocentesca e rinascimentale
Una lunga storia d’amore per il Rinascimento e il collezionismo; il sogno di un luogo in cui ricreare lo spirito di un’abitazione del Quattrocento, un ambiente accogliente dove custodire opere d’arte e manufatti, quadri, arazzi, tappeti, mobili, armi, ceramiche, bronzi, vetri, gioielli, ferri, utensili domestici raccolti con studio accurato e restituiti al loro uso originario. Questo e molto altro è casa Bagatti Valsecchi, dal 1994 casa museo al centro del quadrilatero della moda milanese. Dimora antica (progettata a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento) e insieme avveniristica, dotata di riscaldamento, acqua corrente e luce elettrica. Tutto nasce dal progetto di due fratelli, i baroni Fausto (1843-1914) e Giuseppe (1845-1934) Bagatti Valsecchi, entrambi avvocati ma appassionati collezionisti, desiderosi di accogliere i loro ospiti in un’abitazione speciale. «Sono aperta agli amici e sempre lo sarò», recita un motto latino sul portale neo rinascimentale che accoglie all’ingresso del palazzo. Dopo la morte di Fausto e di Giuseppe, la loro casa continuò a essere abitata dagli eredi fino al 1974, quando l’ormai settantenne Pasino, uno dei figli di Giuseppe, decise di costituire la Fondazione Bagatti Valsecchi, alla quale donò il patrimonio delle opere d’arte raccolto dai suoi avi. Conservate nel rispetto dell’allestimento ottocentesco, le collezioni si dispiegano di stanza in stanza: negli avvolgenti ambienti della casa museo le tavole antiche di autori come Giovanni Bellini, Bernardo Zenale, il Giampietrino trovano la loro collocazione accanto a cofanetti in pastiglia, ad arredi lignei, a manufatti in vetro o in ceramica.
Da dicembre 2023 il Bagatti Valsecchi è diretto da Antonio D’Amico, che abbiamo incontrato in occasione della settimana delle celebrazioni (informazioni sul programma museobagattivalsecchi.org) per il trentennale di apertura del museo.
Direttore, che esperienza è gestire un luogo così speciale?
«Un’esperienza avvincente, ovviamente non è una sfida semplice, il museo è meraviglioso, così come straordinaria è l’idea di un luogo concepito fin dall’inizio per essere aperto a tutti. Inoltre è un’opera d’arte totale, dove si vive e ci si muove. Si azzera la distanza tra visitatore e opera d’arte che si prova normalmente nei musei. Questo concetto mi piace molto e cerco di farlo sperimentare anche ai nostri visitatori. Da qui sono nate alcune iniziative, come Stasera al Museo (appuntamenti musicali o di teatro) o In arte veritas (degustazioni di vino). Fausto e Giuseppe e poi i loro discendenti fino al 1974 vivevano in queste sale, amavano circondarsi di amici, accoglievano ospiti illustri, organizzavano feste e momenti di convivialità. Ho cercato di dare continuità a questo loro desiderio di star bene all’interno della bellezza».
Il pubblico come ha risposto a queste iniziative?
«Siamo molto contenti, prima del Covid i visitatori erano circa 12mila, ho chiuso il 2023 con 37mila visitatori. Un bel risultato. Quindi lavorare per format ha aiutato tantissimo e questo è molto importante. Ora, con l’iniziativa Museo oltre i confini (nata da un’intuizione di Regione Lombardia), sto cercando di aprire il museo anche alle periferie cittadine, alle biblioteche e alle scuole di quartiere. Cerchiamo di fare capire agli studenti l’operazione dei fratelli Bagatti attraverso una visita nuova e stimolante, poi in classe facciamo ideare da ciascuno la propria casa museo».
La doppia anima della casa…
«I due fratelli hanno immaginato questa casa come luogo rinascimentale. Per crearlo hanno in gran parte acquistato oggetti e opere; in altri casi hanno comprato fotografie o realizzato disegni (erano abili disegnatori) e hanno fornito questo materiale come fonte di ispirazione a tessitori, maestri vetrai, architetti, come strumenti di riflessione dalla quale ricavare la propria interpretazione dell’antico. Le due anime sono dunque ottocentesca, contemporanea ai fratelli, e rinascimentale».
La prima impressione quando è entrato nel palazzo…
«Ero studente della Scuola di Specializzazione in Storia dell’Arte e sono rimasto colpito dall’oscurità degli ambienti, dal clima un po’ tetro... sto studiando un progetto di illuminazione con la partnership di Guzzini Illumino il museo, che vedrà la luce (appunto!) il prossimo anno».
La sua sala preferita...
«È la Sala della stufa valtellinese. È dedicata al tempo. In alto c’è un grande orologio, sotto il pianoforte (Carolina Borromeo lo ha voluto anche se non è uno strumento rinascimentale) che indica il tempo della musica, dell’armonia. Io sono molto curioso, amo chiacchierare. Qui c’è un motto latino (ce ne sono in tutte le sale) che parafrasa Sant’Agostino e che dice che ognuno si può sedere davanti al camino, chiacchierare amabilmente, l’unica cosa che non è concesso fare è parlare male degli assenti. Poi c’è un’opera meravigliosa, Il Beato Giustiniani di Gentile Bellini».
L’oggetto o l’opera cui è più affezionato...
«La prima volta che sono stato in museo sono rimasto colpito da due salamandre collocate sul bagno sulla mensola della vasca. Quella più grande agguanta con una zampa la più piccola, come per evitarne la caduta. Ci ho visto il desiderio di aiutare gli altri, di leggere la vita come mutuo soccorso. Credo molto nel trapasso delle nozioni, nell’insegnamento ai giovani, nel prendere per mano i ragazzi. Credo che l’arte serva a leggere i dettagli, non solo dell’opera ma della vita. Se passa questa idea, se passa la passione ai giovani, mi sento un uomo fortunato».
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