L’INTERVISTA
«Tendiamo sempre verso il cielo»

«When the going gets rough, the tough gets going». È il celebre motto statunitense, quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare che sintetizza l’affrontare le difficoltà senza arrendersi. È come scalare ogni giorno una montagna. Chi meglio del principe delle vette, il valdostano Hervé Barmasse, classe 1977, può spiegare la montagna come metafora di vita?
Gentile, diretto e disponibile l’alpinista e guida del Cervino, eletto dallo stesso Reinhold Messner suo diretto successore, si svela a Oltre senza filtri condividendo la sua visione del mondo. Barmasse segue le sue regole che sono quelle che ha imparato dalla natura incontaminata. «Prima di tutto non puoi mentire: la montagna è cruda, vera e sincera. È un mondo che di permette di sviluppare velocemente la capacità di ascoltare soprattutto quando si è immersi nella natura selvaggia», spiega nella lunga chiacchierata telefonica mentre si trova nel cuore della Sardegna.
Nel giro di pochi minuti senza neppure accorgersi detta una sorta di vademecum da cui trarre ispirazione: «Quando siamo in scalata, ci vuole un leader che prenda decisioni e non cambi idea altrimenti le conseguenze possono essere molto gravi».
Proprio sui pericoli, l’alpinista valdostano spiega il suo approccio: «Le scalate le faccio per me stesso, non per denaro ma per piacere. So di avere delle responsabilità nei confronti di me stesso, della mia famiglia e delle persone che mi vogliono bene. Sono abituato a prendere decisioni ponderando il rischio». Un rischio che l’uomo compie fin dall’antichità, come afferma riflettendo sullo sviluppo di una società verticale. «La storia ci dice che è nella natura umana cercare di tendere al cielo, dunque scalare le vette. Pensiamo al fatto che in antichità le divinità si pensava che stessero in cima ai monti, per gli antichi greci stavano sull’Olimpo. L’idea della montagna vicina al cielo è una metafora usata anche nel linguaggio. Le ascensioni in montagna e l’ascensione nella cristianità. Non è un caso che nel Settecento e Ottocento sulle cime si ponessero delle croci, per l’idea di vicinanza con l’onnipotenza».
Come direbbe Nanni Moretti, le parole sono importanti. Soffermandosi sul concetto di ascensione, Barmasse sostiene: «L’ascensione è un percorso di fede. Ma non necessariamente legato alla divinità. Trovo che facendo le ascensioni in montagna, la scalata, sia un percorso di fede verso se stessi. La fiducia di arrivare al traguardo, di raggiungere un risultato. E di vincere una sfida. La montagna è solo un mezzo».
La vita di Hervé Barmasse è costellata di sfide vinte, qual è la molla? «Tutte le mattine trovo che sia difficile alzarsi con un buon motivo. Non c’è giorno in cui non lo debba fare, come tutti. E allora si va ad attingere da persone differenti. Per quanto mi riguarda non sono storie di alpinismo». Spiega meglio: «Studio e seguo le storie di persone che hanno saputo rivoluzionare il mondo. Non di chi ha solo vinto, ma quelle persone leader che riescono ad abbattere muri insormontabili come quelli del pregiudizio e dell’ottusità. L’importante è che abbiano fatto una piccola rivoluzione quando nessuno credeva in quell’idea. Penso poi ai pittori che non trovarono spazio e fama in vita ma che ci hanno lasciato una eredità straordinaria. Ma anche nel mondo dello sport, in pochi di noi trent’anni fa avrebbero detto che un campione paralimpico sarebbe stato di esempio per i normodotati. Cosa è normale? Lo decidiamo noi con la nostra etica e i nostri valori. Io penso che sia necessario avere una visione aperta in ogni ambito e settore della società e della cultura. Prendo sempre come linea guida il pensiero differente».
Nel campo sportivo cita: «Ho iniziato a seguire e interessarmi di Valentino Rossi quando in difficoltà ha fatto altre scelte differenti e umili e ha raggiunto alti livelli. E infine, gli All Blacks: i campioni neozelandesi di rugby che a turno lavano gli spogliatoi. Sono ai massimi livelli ma restano sempre umili». E conclude: «Amo andare a Milano e mi fermo davanti al Duomo in contemplazione: ogni epoca ha lasciato segni rivoluzionari rimasti per sempre. Vado sempre alla ricerca di qualcosa di grande, tutti ogni giorno nel nostro piccolo possiamo avere un obiettivo. Ed è questo che mi motiva, anche se può sembrare un po’ fiabesco».
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