TORPEDO
L’auto del Re s'è fermata a Bodio

Quel giorno, cinquantuno anni fa, Raffaele Bacelliere era ignaro del fatto che stesse per far propria la macchina del Re.
A Roma, durante uno dei tanti viaggi di lavoro nella Capitale per acquistare auto alla filiale della Fiat, gli si presentò un’occasione che solo tempo dopo capì quanto fu incredibile.
A disposizione, nel caso interessasse, c’era infatti una già allora vecchia Fiat Torpedo, intestata a uno dei venditori della zona. Bella, fascinosa, ancora funzionante, immatricolata nel 1939. Chi gliela propose, di certo, non ne capì il valore - storico e, volendo, anche economico - così Raffaele non ci pensò due volte e la comprò.
«Non che fosse particolare fra le altre - ricorda - ma chi me la presentò mi buttò lì che era stata di Mussolini. Qualcosa mi diceva che ne valesse la pena, oltretutto era del ‘39, come me, e la acquistai».
Oggi, a ripensarci, sorride. Perché quel giorno fece un affare storico, aggiudicandosi la capofila delle vetture di rappresentanza di Vittorio Emanuele III. Ma solo in seguito, approfondendo il percorso speciale di quel mezzo, capì che “storico” era l’aggettivo giusto per descriverlo.
Di fatto a Bodio Lomnago, paese affacciato sul Lago di Varese che è anche la casa dei Bacelliere, la macchina ha trovato dimora, conservata com’era.
Nel 1939, il monarca più longevo della storia d’Italia, di mezzi del genere ne fece realizzare sei, abbastanza simili fra loro. A ciascuno diede il nome di uno dei suoi cavalli: Alcinoo fu quello scelto per quest’auto. Si trattava del suo purosangue prediletto e anche quella Torpedo divenne la macchina preferita. Nelle sfilate stava davanti alle altre. E sui suoi sedili hanno preso posto gli ospiti più illustri possibili. Nelle parate d’onore ci salirono primi ministri, regnanti, dittatori.
Anche Benito Mussolini, dopo l’ascesa al potere e la controversa fuga del Re, la usò tante volte, persino accanto ad Adolf Hitler. Ma la Torpedo non fu solo un vessillo monarchico e, in un periodo, fascista. Pure i primi quattro presidenti della Repubblica la utilizzarono nelle cerimonie ufficiali.
«Se quei sedili potessero parlare, sicuramente potrebbero raccontare tanti di quegli aneddoti da scriverci libri incredibili», spiega Gabriele, figlio di Raffaele, oggi incaricato di custodire questo gioiello (che per motivi di sicurezza viene comunque custodito in un luogo protetto in Piemonte) e di guidarlo nelle uscite che da qualche tempo la famiglia ha deciso di regalare al pubblico, durante particolari manifestazioni.
«Delle sei Fiat Torpedo che componevano la flotta reale, ne sono rimaste soltanto due. Una è nostra, col suo inestimabile valore storico, ancora con tutti i pezzi originali. A questo aspetto ci teniamo parecchio, perché si tratta di un elemento qualificante: non stiamo parlando di una macchina restaurata, bensì conservata. Chi si intende di auto storiche, sa bene la differenza».
Di sicuro, quando papà Raffaele firmò il contratto di acquisto, tutti a Roma sottovalutarono cosa ci fosse in ballo. In parte non lo sapeva neppure l’acquirente. «Che fosse un pezzo pregiato era chiaro, ma solo col tempo ci siamo resi conto di cosa avesse rappresentato per la storia d’Italia», spiegano i Bacelliere.
«Per anni abbiamo consultato gli archivi e il registro storico della Fiat, cercando di capire dalle immagini del tempo se potesse essere davvero nostra la vera capo-flotta. Poi, con l’avvento di internet, è stato più facile cercare notizie e condividere con gli appassionati i risultati. Ogni volta si aggiungeva una pagina, sempre più strabiliante».
Per questo, nonostante le offerte ricevute, non hanno mai voluto privarsene.
«In fondo - spiega Gabriele - questo è un mezzo a cui è impossibile dare un valore reale. Di “reale” c’è solo la sua storia, proseguita sulle prime pagine dei giornali anche in epoca repubblicana. Ci sono passati tutti, da Hitler a Franco, da Hirohito a Truman, da De Nicola a Einaudi. A volte, se ci penso mentre la guido, mi fa impressione».
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