LA DECISIONE
Il talento, la sfortuna, il ritiro: Ravasi scende dalla bici
Da Under 23 è stato tra i migliori al mondo. Poi gli incidenti: «Quello alla Vuelta Burgos ha segnato la mia carriera»

Dopo venticinque anni di ciclismo Edward Ravasi scende di sella. Besnatese, classe 1994, il suo nome si legge per la prima volta negli ordini di arrivo tra i primi cinque il 22 aprile del 2001, quando giunse quinto nella gara di Albizzate, la prima vittoria è datata 16 giugno 2002 ad Arsago Seprio con la maglia dell’Audace Sportiva Besnate, l’ultima il 28 luglio del 2023 in Austria nella Osterreichische Meisterschaften Berg.
Dopo due annate come stagista nel Team Lampre (2015 e 2016) passa professionista nel 2017 con l’UAE Team Emirates, ha vestito anche la maglie del Team Eolo e nelle ultime stagioni quella dell’austriaca Hrinkow Advarics.
Quali sono stati i momenti più belli della tua carriera?
«Tra gli under 23, dove ho ottenuto ottimi risultati su tutti il secondo posto nella classifica finale del Tour de L’Avenir nel 2016, e il secondo anno di professionismo dove penso di avere dimostrato le mie qualità. Come nel Giro del Delfinato che ho corso da protagonista e li ho capito che avrei potuto restare per un po’ nel professionismo».
Ti ricordi come hai iniziato?
«Si, la mia prima corsa, non sapevo nulla di ciclismo. Avevo sette anni. Vedevo i ragazzini girare sul circuito e pensavo che la gara fosse già iniziata, invece erano i giri di prova e prima di partire con la corsa ero già finito a terra. Avevo iniziato a pedalare per divertimento e a fine anno scolastico nella nostra classe delle elementari eravamo sette bambini in bicicletta».
Quando hai realizzato che per te il ciclismo potesse diventare una professione?
«Nel passaggio alla categoria juniores. Ho iniziato a fare la vita del corridore, ho completato lo sviluppo, ed iniziato ad allenarmi bene. Ho fatto qualche risultato, poi da under 23 già al secondo anno ero nelle prime posizioni delle classifiche internazionali».
Quante volte hai pensato: se avessi uno spunto di velocità?
«Troppe. Ultimamente ancora di più perché il ciclismo è diventato uno sport sempre più esplosivo ed è difficile staccare i velocisti anche sui percorsi ondulati».
Hai qualche rimpianto?
«Dopo il Giro del Delfinato del 2018 ho corso l’Adriatica – Ionica, ero secondo nella classifica generale con buone possibilità di vincere la gara, poi nella tappa con gli sterrati sono stato appiedato da una foratura, sono finito quarto e così mi è mancata la prima vittoria da professionista e quell’anno ero nella selezione per il Tour de France, andavo davvero forte, ma la squadra alla fine non mi portò per preservarmi per il futuro. Forse quella partecipazione avrebbe potuto dare una svolta alla mia carriera».
Alcuni incidenti ti hanno tolto la possibilità di esprimerti al meglio.
«Il più grave è quello che ho subito nel 2019, prima della Vuelta di Spagna. Ha segnato la mia carriera. Stavo correndo la Vuelta Burgos e per una caduta banale ho rotto il collo del femore. Anche se curato al meglio per alcuni anni non ho più avuto le stesse sensazioni in bicicletta».
In qui ultimi anni hai corso per una formazione austriaca e trovato un ciclismo diverso...
«Molto diverso. Dopo le due stagioni con il team Eolo avevo già firmato per una squadra che poi non è partita, ero alla ricerca di una formazione e ho trovato questo team in Austria: sapevo che rispetto all’Italia il ciclism era molto considerato anche come formazioni Continental. Ho riscoperto tanti aspetti del ciclismo che avevo perduto, l’organizzarsi per correre è stato di grande stimolo, il livello si è alzato anche nelle corse in nazioni dove non ci sono le gare storiche».
Quali sono i programmi per il futuro una volta sceso dalla bicicletta?
«Mi ha fatto piacere che alcune aziende mi abbiano contattato per una collaborazione, sempre nel campo ciclistico fuori dalle gare. Sono contento perché ho dato qualcosa al ciclismo e spero che adesso il ciclismo mi renda qualcosa. Deciderò questa settimana. Soprattutto però ci sarà il matrimonio, il 30 maggio del 2026».
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