ARTISTA GIAPPONESE
Come Alice, Yayoi Kusama porta nel paese delle meraviglie
A Bergamo è possibile entrate nella sua Infinity Mirror Room. L’effetto è un insieme di spaesamento e vertigine

Si entra uno alla volta. Una stanza buia, una scatola dalle pareti specchianti che riflettono il bagliore tremulo di 150 lucine che scendono dal soffitto come lucciole. Solo pochi passi e, in un silenzio ovattato, si arriva al centro della sala, sospesi sopra una pozza d’acqua dalla superficie appena increspata. L’effetto è di spaesamento e vertigine, di immersione in una dimensione altra, senza confini di spazio e tempo. Una sensazione che dura un solo minuto, interrotta dall’apertura della porta che invita a uscire.
È l’esperienza di Fireflies on the Water, l’installazione dell’artista giapponese Yayoi Kusama che a Bergamo ha registrato il tutto esaurito fin dai primissimi giorni e che per questo è stata prorogata fino alla fine di aprile. L’Infinity Mirror Room proveniente dalla collezione del Whitney Museum of American Art di New York è una delle più iconiche della produzione dell’artista giapponese. Come già per le sfere specchianti che rileggevano il mito di Narciso, anche le Infinity Mirror riprendono l’idea dello specchio e della moltiplicazione di punti di vista, per una sensazione che non vuole essere di spaesamento ma di apertura verso uno spazio infinito, in cui le regole della percezione non sono quelle quotidiane.
Un invito a perdersi per ritrovarsi, come accade alla protagonista del celebre romanzo di Lewis Carroll. «Io, Kusama, sono la moderna Alice nel paese delle meraviglie. Come Alice che attraversava lo specchio, io, Kusama (ho vissuto per anni nella mia famosa stanza costruita interamente ricoperta di specchi) ho aperto un mondo di fantasia e libertà. Anche tu puoi unirti alla mia avventurosa danza della vita».
Tutto è iniziato - come racconta lei stessa - in un campo di fiori: «C’era una luce accecante, ero accecata dai fiori, guardandomi intorno vedevo quell’immagine persistente, mi sembrava di sprofondare come se quei fiori volessero annientarmi». Così Yayoi ha iniziato a disegnare il suo immaginario di sogno e allucinazioni. Per assorbirlo, per dargli concretezza fisica, usando l’arte come strumento terapeutico. I genitori non accettano la sua passione, tanto che la madre le distrugge i disegni prima che lei riesca a terminarli. È proprio per questo motivo che una delle prime forme d’arte di Yayoi Kusama sono i pois, così veloci da disegnare.
Traferitasi negli Stati Uniti nel 1958, consolida nel tempo la sua posizione nell’avanguardia newyorkese e viene considerata una rivoluzionaria. Frequenta numerosi artisti che si ispirano alle sue creazioni, da Andy Warhol a Donald Judd, padre del minimalismo americano, con cui ha una travolgente storia d’amore, a Claes Oldenburg e le sue sculture morbide. Nel 1973 torna in Giappone e quattro anni dopo si fa ricoverare spontaneamente in un istituto psichiatrico dove vive ancora oggi.
«Traducendo la paura delle allucinazioni in dipinti, ho cercato di curare la mia malattia… la mia arte vuole essere una sorta di guarigione per tutta l’umanità». Delle Infinity Mirror Rooms di Kusama - spiega Stefano Raimondi, curatore della mostra «uno degli aspetti che mi attraggono maggiormente è che l’artista stessa le definisca precisamente come stanze, quindi come luoghi del quotidiano, se non proprio come luoghi domestici in cui vivere. L’infinito si genera quindi in uno spazio finito, una rivelazione successiva all’annullamento dell’Io. Il cosmo di Kusama è un universo presente, generato dall’opera come presenza fisica».
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