MOSTRA
Come si può perdere la testa
Viaggio suggestivo e inquietante tra le 64 opere proposte
Una mostra “da perdere la testa”, come ironizza lo scrittore Gianni Biondillo, che firma un divertente racconto nel catalogo a corredo della mostra che si intitola proprio Perdere la testa, allestita alla Galleria BKV Fine Art di Milano. Il percorso espositivo, che presenta 64 opere, è un viaggio, suggestivo e inquietante al tempo stesso, tra le innumerevoli opere (e chi se lo sarebbe immaginato?) che hanno come protagonista la testa mozzata. Da quella di san Giovanni Battista raccolta in un piatto di peltro da una prosperosa Salomè, vestita di seta frusciante, l’ovale perfetto del viso valorizzato da grosse perle alle orecchie, nella tela attribuita al caravaggesco spagnolo Juan Bautista Maíno. La crudele Salomè è poi protagonista di altre inquietanti opere con teste mozzate posate su piatti, vassoi, alzate, che ricordano le nature morte lombarde, alcune che riprendono la famosa Testa di Giovanni Battista oggi al Louvre, dipinta da Andrea Solario per Luigi XII di Francia; la suggestione per la testa mozzata continua nel Seicento a partire dalle invenzioni caravaggesche per essere enfatizzata successivamente in declinazioni che arrivano al tenebroso e al macabro, come nelle tele che derivano dall’Erodiadedi Francesco Cairo. Proprio lo studio del pittore milanese aveva suggestionato il critico e scrittore Giovanni Testori, dalla cui collezione provengono alcune delle teste mozzate (ora nella Collezione Koelliker); in mostra due suoi acquerelli del 1968, realizzati proprio mentre scriveva il monologo teatrale Erodiade. Non solo i pittori ma anche gli scultori sono stati ossessionati dalle teste tagliate: nelle prime due sale si trovano alcune sculture in legno e marmo del Cinque e Seicento, come quella di giovane martire attribuita a Domenico Poggini, o la reinterpretazione in chiave moderna di Bertozzi&Casoni, dove la figura del Battista è sostituita da quella di un gorilla. Ma a perdere la testa non è stato solo Giovanni Battista. Il povero Oloferne è – suo malgrado – macabro protagonista di una serie di opere che godettero di grande fortuna in età barocca, a partire da modelli caravaggeschi. Tra i dipinti che esaltano il coraggio e la sensualità di Giuditta, che orgogliosamente brandisce la spada e la testa spiccata del gigante babilonese, c’è una bella tela Giuseppe Vermiglio conservata alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano, accostata a una terracotta di Arturo Martini dei primi anni ‘30. Nella sala finale va in scena il giovane Davide con la testa di Golia nei dipinti di Domenico Cerrini, attivo nel Seicento per le più importanti famiglie romane, di Giacomo Farelli, brillante ed estroso pittore napoletano del secondo Seicento, posti in dialogo con Number 3 (Self-Portrait of Caravaggio as Goliath, Michelangelo Merisi), opera del 2020 di Julian Schnabel. Altra storica testa mozzata è quella di Medusa, resa celebre ancora una volta da Caravaggio, cui rende omaggio l’artista brasiliano Vik Muniz nella sua Medusa, after Caravaggio (Picture of Junk) del 2009. Quest’opera fa parte di una serie realizzata in una discarica, dove alcuni capolavori della storia dell’arte vengono ricreati con l’utilizzo di vari materiali di scarto, di lattine, metalli arrugginiti, vecchi pneumatici.
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