SIONISMO
Con Theodor Herzl la nascita dello Stato ebraico
La storia di un’idea rivoluzionaria. Ipotizza due territori: la grande Argentina e la romantica Palestina

Febbraio del 1896: sugli scaffali delle librerie di Vienna compare un libretto breve, di sole 86 pagine. L’autore, Theodor Herzl, lo ha scritto in uno stato di eccitazione febbrile tra l’estate e l’autunno e gli ha dato un titolo esplosivo: Lo Stato ebraico.
Herzl, di origine ebraica, è nato a Budapest ma vive a Vienna. 36 anni, liberale illuminato e non credente, è avvocato, critico teatrale, commediografo e lavora al quotidiano «Neue Freie Presse». Ha un portamento regale, un’oratoria incandescente e un grande carisma. Nel 1894 è andato a Parigi per seguire L’Affaire Dreyfus, il processo all’ufficiale dell’esercito francese accusato ingiustamente di spionaggio e condannato – in realtà – solo perché ebreo. E come molti, anche Herzl è rimasto sconvolto dall’ondata di antisemitismo in Francia e in mezza Europa: nel 1895 infatti a Vienna il cristiano-socialista Kerl Lueger è stato eletto sindaco con un programma apertamente antisemita.
In effetti, nella seconda metà del secolo si sono diffuse teorie apertamente razziste, nazionaliste e antisemite, trainate da libri come il Saggio sulla ineguaglianza delle razze umane di Arthur de Gobineau del 1855. E oltre alle discriminazioni, in Russia per esempio sono già scoppiati i “pogrom”: violenze impunite, saccheggi e omicidi contro gli ebrei. Così, Herzl ha iniziato a meditare sul futuro e ha raccolto i suoi pensieri nel libro, che inizia senza fronzoli sin dalla prima riga: “l’idea che espongo è antichissima”, attacca, “è la costituzione dello Stato ebraico”. Un’idea rivoluzionaria, ma è convinto che l’antisemitismo non scomparirà mai finché gli ebrei rimarranno piccole minoranze senza un loro Stato.
Certo, Herzl si rende conto - scrive - che se l’idea «fosse propugnata da pochi singoli individui, sarebbe una faccenda ben strana e folle. Ma se molti ebrei tutti insieme ci credono, diventa del tutto ragionevole e la sua attuazione non offre più alcuna difficoltà». Ma, innanzitutto, dove costruire il nuovo Stato?
Per Herzl, due le possibilità. La prima: l’Argentina. Un paese ricchissimo, gigantesco e poco popolato che - afferma - “avrebbe il più grande interesse a cederci un pezzo di territorio”, perché l’immigrazione ebraica “ha prodotto solo irritazione”. L’altra ipotesi, più romantica e coinvolgente, è la Palestina: “la nostra patria storica”. Quella terra è dell’Impero Ottomano ma - continua - se il Sultano accetta “ci potremmo impegnare, per sdebitarci, a risistemare le finanze della Turchia”.
Poi, pagina dopo pagina descrive come deve essere il nuovo Stato: dalla presa del territorio alla bandiera, alla lingua, alla costituzione. Lo Stato - una “repubblica aristocratica” non teocratica - sarebbe rimasto neutrale, ma sarebbe diventato “un avamposto contro la barbarie” e l’Europa avrebbe garantito la sua esistenza.
Quel libro, esile, ma potente, fondò il sionismo: un movimento nazionalista complesso, a cavallo tra il religioso, il politico e il sociale. Herzl iniziò a “mobilitare le risorse spirituali e materiali del suo popolo disperso” e soli vent’anni dopo vi erano già 83 mila ebrei in Palestina, contro però 660 mila arabi. Passarono cinquant’anni e nel 1948 a Tel Aviv fu fondato lo Stato di Israele. Appeso, dietro il tavolo del governo provvisorio, svettava un grande ritratto di Herzl, morto povero e solo nel 1906.
Il suo sogno si era avverato. Ma quella non era “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, come aveva scritto. Era abitata da pastori, contadini, mercanti e artigiani prevalentemente musulmani. Herzl aveva sottovalutato il “problema arabo”, la reazione che avrebbe provocato la nascita di uno Stato ebraico in mezzo alle società arabe, in Siria, Egitto, Iraq. Così, dopo oltre cento anni di guerra, gli arabi la chiamano Palestina e la reclamano come terra araba, gli ebrei Israele e la rivendicano come ebraica. Due nomi diversi per la stessa terra che, come disse Ytzhak Rabin nel 1993, non ha “conosciuto un solo anno, un solo mese, in cui le madri non abbiano pianto i loro figli”. È giunta l’ora di un doloroso compromesso, per entrambi.
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