SENTIMENTI
Ritrovarsi e ricominciare ad amarsi

La riscoperta dell’idea romantica dell’amore. Dell’attesa e del desiderio dell’altro. Il recupero dell’aspettativa e del significato dell’altro e del romanticismo. E la fiducia come punto di partenza per la “trasgressione” delle regole.
La Fase 2 legata all’emergenza innescata dal coronavirus permette di rivedere gli “affetti stabili”. Gli amori. Fidanzati e fidanzate. Ma con tutti gli accorgimenti necessari a proteggersi e a proteggere. E dunque: come può cambiare l’approccio tra innamorati costretti per settimane alla lontananza e a cui si richiede ancora una certa distanza fisica? E soprattutto, come la possono vivere gli amori più “freschi”, più nel periodo della “scoperta”, come possono essere quelli adolescenziali, tra giovani?
«Il coronavirus ci ha tolto il contatto – sottolinea Vincenzo Maria Romeo, psichiatra, psicanalista, sessuologo, direttore scientifico della SPPG, scuola di specializzazione in psicoterapia psicanalitica e gruppoanalitica -, quello spazio di prossimità all’interno dello spazio vitale entro il quale oltre a esserci il contatto c’è anche l’attività dei neuroni specchio» che ci donano la capacità empatica di comprendere e vivere gli stati emotivi degli altri anche attraverso atteggiamenti e mimica facciale, immedesimandoci.
«Allo stesso tempo – prosegue Romeo – ci ha portati a mettere in atto precauzioni, come appunto la distanza opportuna per tutelarci. In termini di significato, lo spazio di troppa prossimità ci ha reso troppo vulnerabili. In qualche modo la dimensione virtuale aveva già annientato questi processi, facendo venire meno i parametri spazio-temporali: tutto raggiungibile nell’arco di un clic. Oggi spesso i ragazzi, e non solo loro, non sono abituati allo spazio vitale e al tempo di latenza. Il contatto virtuale è più immediato rispetto al tempo che serve per vedersi, osservarsi, potersi trovare complementari anche attraverso un processo impegnativo di messa in discussione di ciò che siamo. Adesso l’amore vissuto ai tempi del covid ci ha invece tolto per tanto tempo la possibilità di stare accanto alle persone a cui vogliamo bene, ma potrebbe consentirci di recuperare in termini di qualità». Provando anche a “ribaltare” un trauma, un dolore.
«Tutto questo – spiega ancora Romeo – è servito perché permette di iniziare a essere più selettivi, a riappropriarci di quella prossimità di dinamiche sane di contatto. La situazione ci sta costringendo a ridefinire recinti e distanze di tempo e di spazio che ci mettono in discussione e dunque a ridefinire anche le persone con cui avere un rapporto, ad avere l’opportunità e la scelta di incontrare chi è più importante, mentre prima era più facile vedersi con tutti».
Insomma, se le dinamiche tecnologiche del “tutto e subito” senza l’attesa avevano magari tolto un po’ l’emozione del desiderio, ora «ci possiamo permettere una riflessione in termini di qualità di scelta. Il covid in qualche modo ha ricreato l’attesa, la progettazione dietro a un contatto».
E nel ritrovarsi si apre lo spazio della fiducia nell’altro. «È normale, tanto più in un giovane, che il rivedere la persona amata dopo tanto tempo porti con sé la voglia del contatto e dunque della “trasgressione” delle regole – ammette Romeo -. La cosa che fa la differenza è l’essere in fiducia l’uno dell’altro, la capacità di conoscersi e rispettarsi per cui io agisco sapendo di aver avuto tutte le attenzioni per non danneggiare l’altro. Ci deve essere onestà e fiducia allo stesso tempo l’uno verso l’altro per poter trasgredire, si apre la fase del desiderio in fiducia, del dire “posso andare oltre perché ho fiducia in te”. E la dimensione della fiducia verso l’altro significa anche senso di responsabilità.
«La privazione del contatto affettivo – conclude il sessuologo – apre alla dimensione di un “io collettivo” per cui tu e io siamo coppia. Non si tratta più solo delle mie pulsioni, ma dello spazio più ampio del “noi”, di un’idea di appartenenza a uno spazio comune di cui mi prendo in carica la responsabilità, che è anche responsabilità degli spazi condivisi. Non c’è più “io”, ma “noi” come spazio comune in cui riusciamo a difendere noi stessi e gli altri».
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