CONTROPASSATO PROSSIMO
Dayton: «L’ultima possibilità per la Pace»
Le mire egemoniche della “Grande Serbia” sono in marcia come le aspirazioni indipendentiste degli altri
Base di Wright-Patterson, Dayton, Ohio, 21 novembre 1995. Dopo 21 giorni di estenuanti trattative, alle 11 e 30 Alija Izetbegovic, Slobodan Milosevic e Franjo Tudjman si stringono la mano. Sono i presidenti della Bosnia, della Serbia e della Croazia: la devastante guerra in Jugoslavia è finita, dopo 4 anni, 250 mila morti e 2 milioni di rifugiati.
Il negoziato, sfibrante, ha rischiato di fallire più volte: il Segretario di Stato Warren Christopher, 70 anni, negli ultimi quattro giorni ha dormito forse 6 ore. Ma, come ha detto il mediatore Richard Holbrooke, quella era “l’ultima possibilità per la pace”.
La Jugoslavia aveva iniziato a disgregarsi anni prima. Sin dal 1945 il maresciallo Tito era riuscito a tenere insieme nella Federazione – anche con la forza – popoli diversi per etnia, cultura e religione. Dopo la sua morte nel 1980, l’equilibrio si è spezzato e nelle Repubbliche – Serbia, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Montenegro, Slovenia e Macedonia – sono cresciuti pericolosi contrasti nazionalistici e religiosi. Già il 24 settembre 1986, per fare un esempio, il quotidiano di Belgrado «Večernie Novosti» aveva pubblicato un “Memorandum” dell’Accademia delle Arti e delle Scienze: i serbi – si affermava – erano discriminati perché, come sosteneva Tito, “una Jugoslavia forte esige una Serbia debole”.
Insomma, le mire egemoniche della “Grande Serbia” sono in marcia, ma insieme alle aspirazioni indipendentiste degli altri. In Slovenia e Croazia, poi, il malessere è anche “economico”: la politica fiscale le penalizza a favore delle aree arretrate, come il Montenegro o la Macedonia.
Caduto il Muro di Berlino precipita tutto: il 25 giugno 1991 Slovenia e Croazia dichiarano l’indipendenza, seguite dalla Macedonia. La scintilla: la guerra tra la “Jugoslavia” e la Slovenia dura 10 giorni e si conclude con “soli” 70 morti il 6 luglio: gli accordi di Brioni certificano la nascita del nuovo Stato. Intanto, però, per ottenere l’indipendenza si sono armati i serbi che abitano in Krajina – una regione della Croazia – contro i Croati, e gli albanesi del Kossovo contro la Serbia. Già il 1° aprile, infatti, è stata proclamata la Repubblica Serba di Krajina.
Nel frattempo, l’opinione pubblica europea osserva poco coinvolta. Del resto, la vicenda è complessa: le “guerre balcaniche” sono da sempre ingarbugliate, l’incubo degli studenti sin dai tempi dei Manuali di Storia. Ma stavolta qualcosa sveglia l’attenzione: i serbi bloccano le strade dei turisti che si recano in vacanza in Dalmazia.
Comunque, l’indipendenza provoca sia l’intervento dell’esercito croato sia, in difesa della Krajina, di quello serbo, ancora – almeno nominalmente – “jugoslavo”: non si può tollerare che regioni abitate da serbi siano “strappate” alla madrepatria. Altro che turismo: per 87 giorni, dal 25 agosto al 18 novembre, l’esercito serbo stringe d’assedio Vukovar, una città croata di 45 mila abitanti. E il mondo, adesso sgomento, inizia a capire le “nuove guerre”: con gli eserciti infatti operano bande paramilitari di criminali, assassini, mercenari, e contro i civili si scatena una furia inaudita. Donne, bambini, anziani: tra stupri e sevizie non viene risparmiato nessuno.
A Radio Vukovar lavora il coraggioso reporter Sinisa Glavasevic, 31 anni. Non è fuggito e racconta l’ultimo giorno di assedio, quando ormai “lo spettacolo è spaventoso. Si sente forte l’odore di bruciato, si cammina sui corpi, sulle macerie e sui detriti in un silenzio raccapricciante”. L’ultima corrispondenza. Poi scompare, insieme a molti altri: il 19 novembre i serbi, conquistata la città, entrano nell’Ospedale, prelevano almeno 214 persone, le trasportano in una fattoria a Ovcara, le uccidono e le gettano in una fossa.
Uno dei tanti crimini indicibili, se ancora oggi non si sa quante siano le vittime. Certamente non meno di tremila, e tra queste anche Sinisa: i suoi resti sono stati ritrovati in una fossa comune nel 1997. Ma Vukovar è solo la premessa: sta per esplodere la Bosnia-Erzegovina, e qualcuno già parla di “scontro delle civiltà”.
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