L’ESPOSIZIONE
El Greco: un viaggio nella sua carriera a Milano
La mostra a Palazzo Reale permette di scoprire le opere del pittore tardo-manierista

È il pittore più bizzarro dell’età moderna, in bilico tra la rigida osservanza religiosa e l’espressività inedita e drammatica, unica nel panorama dell’arte tardo-manierista. Un artista senza tempo, capace di penetrare nell’anima con i suoi visi espressivi e le sue mani parlanti, tra le più iconiche della storia dell’arte. Domenico Theotocopulos (Creta, 1541-Toledo, 1614), noto in Europa come El Greco, moderno e bizantino insieme, è una figura da riscoprire grazie alla mostra di Milano, curata da un team di studiosi spagnoli, che porta a Palazzo Reale quaranta dipinti del grande maestro, prestati dai maggiori musei del mondo (la National Gallery of Art di Washington, il Prado, il Louvre, gli Uffizi e altri ancora) ma anche da chiese e istituzioni spagnole che conservano veri tesori, spesso mai usciti dalle loro sedi. L’esposizione segue un percorso cronologico per ripercorrere le tappe della sua evoluzione, scandite dai diversi luoghi di residenza.
Dalla natia Creta, dove si era formato come pittore di icone bizantine e dove lascia moglie e un figlio, arriva in Italia nel 1567, approdando nel cuore della Serenissima. È alla ricerca di un nuovo modo di dipingere, di una dimensione più dinamica, che si allontani dall’universo bidimensionale, astratto e immobile della tradizione d’oriente e si faccia realtà e racconto. Il suo passaggio “di greco in latino”, per usare le parole di Cennino Cennini, avviene nei tre anni in cui opera nella bottega dell’anziano Tiziano, da cui impara l’uso espressivo del colore, un colore violento, pieno totale, pastoso, luminoso, spirituale; in laguna rimane folgorato dal senso del movimento e dall’utilizzo drammatico della luce di Tintoretto, da Jacopo Bassano apprende gli elementi formali della narrazione pittorica, l’uso della prospettiva e degli sfondi architettonici e dagli artisti manieristi le linee sinuose e allungate, approdando a una pittura tormentata e tragica, carica d’intensità emotiva.
In Italia realizza opere di piccolo formato, come il Trittico di Modena, forse per la famiglia veneziana dei Grimani, il luminosissimo Battesimo di Cristo conservato a Creta o l’Adorazione dei Magi del Museo Lázaro Galdiano di Madrid.
Dopo un breve - e burrascoso - soggiorno a Roma, ospite del cardinale Alessandro Farnese, si trasferisce a Toledo, col sogno di conquistare i favori del re Felipe II ed essere nominato pittore ufficiale della cattedrale. Onore che non ottiene, pur trovando nella città spagnola molte importanti committenze che gli permettono di sviluppare il suo concitato linguaggio pittorico, fatto di luminismi accentuati, torsioni innaturali dei corpi che conferiscono alle figure la capacità di manifestare sentimenti e “moti d’animo”.
«Eminente per arte e mestiere tanto che nessun altro può sostituirlo» è la reputazione di cui gode in città, lui di essenza bizantina e di formazione italiana, capace di assimilare a tal punto l’ambiente castigliano da trasformarsi nel suo più profondo interprete e nel primo grande pittore spagnolo, predecessore e maestro di Velázquez.
Nell’ultimo periodo del suo percorso, infine, ritorna alla concezione frontale e diretta propria delle icone bizantine, come nelle due versioni del Salvatore benedicente, conservato a Toledo e a Reggio Emilia, o nella Veronica col Volto Santo di Toledo.
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