IL FATTO
«Fiamme in cella e aggressione agli agenti»
Serata di follia per due detenuti all’interno del carcere di Busto Arsizio. La denuncia del Sappe

«Due detenuti stranieri, uno dei quali arrivato poche ore prima da altro istituto per opportunità, hanno distrutto la cella in cui erano ubicati, appiccato ripetutamente incendi e cercando di colpire gli agenti al di fuori di essa, lanciando pezzi di arredo. Tra un incendio e l’altro hanno allagato la cella e il corridoio della Sezione stessa. Quando la polizia penitenziaria ha aperto la cella ed è entrata per fermarli i due si sono scagliati contro gli agenti. Alla fine, i due aggressori, sono stati bloccati, ma sei agenti sono rimasti feriti, uno dei quali dimesso dall’ospedale con 15 giorni di prognosi per la rottura di una costola». A denunciare quanto accaduto nella serata di ieri – giovedì 21 agosto – all’interno del carcere di Busto Arsizio è Alfonso Greco, segretario regionale del Sindacato autonomo di Polizia pentenziaria.
«MAGGIORE SEVERITÀ CONTRO LE AGGRESSIONI»
Greco esprime «la solidarietà e la vicinanza del Sappe ai colleghi, vittime della vile aggressione, augurando loro una pronta guarigione». Il sindacalista denuncia: «Siamo preoccupati dall’alto numero di eventi critici che si registrano in carcere. Ma ci aspettiamo efficaci provvedimenti contro coloro che si rendono responsabili di queste inaccettabili violenze, anche perché questo determina quasi un effetto emulazione per gli altri ristretti. Aggressioni, colluttazioni, ferimenti contro il personale, così come le risse, autolesionismo ed i tentati suicidi, sono purtroppo all’ordine del giorno. Servono interventi urgenti e strutturali che restituiscano la giusta legalità ai circuiti penitenziari intervenendo in primis sul problema del sovraffollamento carcerario». «Certo non servono indulti o amnistie», conclude Greco, «ma piuttosto maggiore severità contro coloro che aggrediscono e offendono gli agenti di Polizia penitenziaria».
«RIVEDERE L’ORGANIZZAZIONE DELLE CARCERI»
Donato Capece, segretario generale del Sappe, riconosce un cambiamento nel clima politico attuale: «Dobbiamo dare atto che, rispetto al passato, l’attuale governo e l’Amministrazione penitenziaria hanno mostrato maggiore ascolto e sensibilità nei confronti delle criticità del settore. Ma proprio per questo ci aspettiamo di più. Serve uno sforzo ulteriore, più deciso e strutturale, perché non bastano le buone intenzioni: occorrono atti concreti, urgenti e coraggiosi». Capece rivolge un appello alle istituzioni politiche: «È necessario rivedere l’organizzazione delle carceri, classificandoli in tre livelli: massima sicurezza, media sicurezza e custodia attenuata, atteso il fallimento degli attuali circuiti. Attraverso tale differenziazione si potrebbe differenziare anche la formazione del personale e prevedere un differente impiego di forze e di professionalità: in quelli di massima sicurezza più Polizia penitenziaria, negli altri meno polizia e più educatori e assistenti sociali». Il leader nazionale del primo sindacato del Corpo richiama un concetto fondamentale: «Sicurezza e diritti sono un binomio inscindibile anche quando si affronta la complessa realtà del sistema penitenziario, perché, salvi i casi più gravi, la doverosa esecuzione della pena deve costituire il presupposto per il ritorno alla vita civile del detenuto. In questa ottica, è necessario attivare al più presto i ruoli tecnici del Corpo: medici e psicologi nell’immediato e nel prossimo futuro anche quelli socio pedagogici. Professionisti del trattamento, evitando inutili commistioni e false illusioni, su un possibile ruolo della Polizia penitenziaria in un compito che non è il suo”». È chiara e netta la visione del Sappe sul ruolo del Corpo: «La Polizia penitenziaria deve occuparsi di osservazione e sicurezza, della sicurezza di tutte le strutture del ministero della Giustizia, compresi i tribunali: deve fare osservazione, garantendo collaborazione all’organo giudiziario inquirente, a quello di sorveglianza e, infine, anche quello di cognizione, per i rispettivi compiti. Una forza di polizia moderna, pienamente inserita nel contesto generale delle forze di polizia, come in parte già avviene nell’attività investigativa, attraverso il Nucleo investigativo centrale (Nic) che andrebbe trasformato in Servizio centrale di Polizia giudiziaria, l pari delle altre forze di polizia, per avere più efficaci e incisivi strumenti investigativi, visti i grandi successi conseguiti negli ultimi anni, sul fronte della criminalità organizzata e del terrorismo di matrice confessionale», conclude Capece.
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