DA SAPERE
Anche nelle avversità c’è speranza

Il trauma. La paura. L’incertezza. Che rendono deboli. E che ci fanno chiedere come e se da un dolore grande come quello che stiamo attraversando anche oggi a causa del Covid-19 possiamo trarre un insegnamento che ci aiuti a essere migliori. Una parola forse esagerata, ma sulla quale si può riflettere.
«Questo è un tempo ferito – è il parere della psicologa, psicoterapeuta e pedagogista Raffaella Pasquale -, ma dobbiamo riuscire a uscire dallo stordimento e trasformarlo in apprendimento». Per trovare una via che non sia quella della rabbia e della violenza. «E l’unica strada che abbiamo – prosegue – è quella della comprensione. Per prima cosa della comprensione della fragilità nostra e di tutti gli altri. Perché anche in un tempo ferito c’è dell’oro, bisogna cercarlo, individuarlo, ripulirlo dalle macchie e mettersi in ascolto per trovare gli aspetti positivi nascosti».
Cercando di non farsi prendere dalla paura che porta invece a negare, semplificare eccessivamente, sottovalutare o a cercare di individuare capri espiatori creando conflitti. «Abbiamo bisogno di pensieri nuovi – conclude la psicologa -, vedendo che cosa anche questa situazione ci sta insegnando, come per esempio tra genitori e figli l’esserci conosciuti e frequentati di più e aver condiviso più cose, o l’essere stati obbligati a stare vicino alla fragilità umana e a capire che ogni vita ha incertezze e ci sono eventi che non sono sotto il nostro controllo. E recuperare le relazioni tra l’individuo e l’ambiente».
Che la percezione di insicurezza e instabilità sul futuro già presente prima della pandemia sia stata amplificata dal Covid rendendo sempre più difficile progettare il domani nel vivere quotidiano è sottolineato da Giuliano Bruni, presidente del dipartimento della Regione Toscana dell’Associazione nazionale sociologi. «La situazione incerta – spiega – non fa bene al sé e ai rapporti interpersonali. Però ci sono aspetti che si stanno più valorizzando, come per esempio la casa che non è più vista solo come luogo di passaggio: in alcuni casi la si assapora di più, rappresenta la nostra intimità del quotidiano».
C’è dunque una riappropriazione più intimistica, anche se il riappropriarsi del quotidiano sicuramente richiederà del tempo soprattutto in una situazione in cui, nota il sociologo, «di certo quello che emerge è una differenziazione sociale più presente di prima, che si vede già dalle cose più immediate», come per esempio l’aumento di richieste di pacchi alimentari per le famiglie bisognose.
E da questo periodo potrebbe anche nascere una maggiore riflessione sulla comunicazione, poiché spesso anche dal punto di vista mediatico il messaggio trasmesso è fin troppo ridondante.
Che siano emerse grandi disuguaglianze tra chi poteva avere strumenti e chi no anche per affrontare situazioni come la didattica a distanza o il lavoro in “smart” da casa è notato anche dalla sociologa e scrittrice Marina Piazza che da parte sua non crede che la pandemia ci abbia aiutato a diventare migliori. «Mi sembra – commenta – che siano emerse come parole chiave fragilità, che diventa vulnerabilità se l’altro non l’accetta, e incertezza, con la consapevolezza di una reciproca dipendenza», in una situazione che, dal punto di vista delle mancanze anche di «vere riforme» ha portato alla luce «quello che c’era già prima, ma era poco visibile».
E ora che «sappiamo che quando i problemi sono forti non ci si salva da soli è fondamentale mettere il concetto dell’aver cura come base, come attenzione e come responsabilità».
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