SMART WATCH
Come ti senti? Te lo dice il polso

A inizio anni Ottanta, chi possedeva un orologio col cronometro, veniva visto come se avesse al polso un modello utilizzato dagli astronauti. Oggi la tecnologia sta invece raggiungendo frontiere incredibili, tanto che si sta ampliando sempre più il ventaglio di funzioni dell’hi-tech applicato allo sport e alla salute. In principio furono gli atleti professionisti, a partire dal ciclismo, col cardiofrequenzimetro. Ma, ormai, non ci sarà da stupirsi se, fra qualche anno, si arriverà a ricevere informazioni degne di un check-up.
E così, come avviene per altri campi, dai campioni dello sport, questi strumenti sono arrivati alle persone comuni, creando un mercato dove non è ormai raro trovare l’uomo di mezza età con la pancetta che corricchia “abbigliato” con una serie di strumenti che ne controllano la prestazione.
È soltanto una moda o sarà una tendenza del futuro? E soprattutto: c’è da fidarsi ed è una buona abitudine anche nel caso del dilettante della domenica? Chissà.
Di certo, da sempre l’Italia è un Paese che ama la tecnologia, basti vedere i boom degli smartphone, ma anche delle sigarette elettroniche o, in generale, delle novità tecnologhe che, ogni anno, soprattutto sotto Natale fanno registrare dei record di vendita. Di conseguenza, la passione degli italiani per questi marchingegni, che i nostri nonni chiamerebbero “diavolerie”, ha raggiunto anche il settore della salute e, in particolare dei cosiddetti wearable, gli strumenti indossabili.
Gli sportivi di oggi, infatti, amano svolgere le attività assieme a device come gli orologi Gps o gli smartband. Ovvero di veri e propri mini-computer che si possono portare comodamente, e rilevano molti parametri del corpo: come la frequenza cardiaca e la qualità del sonno.
Secondo la Global Mobile Consumer Survey 2019 li indossa il 26% degli italiani e il dato è in crescita. Questa diffusione potrà cambiare arrivare addirittura a cambiare il rapporto medico-paziente in un periodo in cui, col Coronavirus, si sta sviluppando anche in Italia la telemedicina? Uno studio di revisione sui dispositivi wearable pubblicato a settembre 2019 su Annals of Translation Medicine sostiene che essi possono essere utilizzati come metodi non invasivi di monitoraggio cardiaco ed essere di supporto alle valutazioni ambulatoriali.
Oggi la capacità diagnostica non va al di là della fibrillazione atriale, ma in mano agli specialisti i dati raccolti dai device da polso possono essere utili per individuare altre aritmie, come ad esempio un’extrasistolia. Inoltre possono essere utili nella medicina del sonno, perché percepiscono l’alternanza delle fasi del dormire, basandosi sul battito cardiaco e in parte sul grado di attività motoria.
Ma la distinzione che fanno tra sonno Rem, non Rem, leggero, profondo e veglia non è del tutto precisa. Insomma, paragonarli a dispositivi medici è forse prematuro, ma possono essere visti come strumenti di prevenzione, utili per aprire la strada a un’indagine clinica e diagnostica più approfondita.
Infine ci sono anche dei rischi. Come avviene per i telefonini che, spesso, si controllano, guardano ogni cinque minuti, così può avvenire per i wearable. Il controllo continuo di battito cardiaco, passi, attività fisica e ore di sonno, secondo alcuni studi, può però alimentare l’ansia e l’insicurezza. Due esempi: «Che fiatone! Mi starà venendo un infarto?». «Sono andato più piano e mi sento stanchissimo, non è che ho un tumore». Morale: la tecnologia va bene ma, come sempre va utilizzata con intelligenza e, soprattutto, nulla potrà mai sostituire un medico.
© Riproduzione Riservata