ITALIA-USA
«Io, Francesca, bustocca a New York»
Ambrosoni è manager nel lusso e dal 2004 si è trasferita negli Stati Uniti. «Sento gli italiani lamentarsi: qui si va in bancarotta per curarsi»

«Stamford - 12°. Sto morendo di freddo». Seguono faccine e commenti stupefatti, qualcuno obietta: «Sì, ma è secco». Risposta: «...adesso cucino un brasato al Barolo e me lo faccio passare». Scampoli di chat fra ex studenti del fu Liceo Linguistico “Montale” di Busto Arsizio, sessantenni con la battuta (e la valigia) sempre pronta. In questi giorni a dolersi per il freddo glaciale con gli amici social sparsi fra Varesotto e Altomilanese è Francesca Ambrosoni, classe 1964, residente a Greenwich, Connecticut, circa un’ora da Manhattan. Nel 2004 lei e il marito decisero di partire per gli Stati Uniti: quattro anni e torniamo. Sono ancora lì. «Casa mia sembra quella di Paperino, niente recinzione e una serratura ridicola, auto nel vialetto che nessuno ruba, scuole pubbliche fra le dieci migliori d’America», elenca l’ex liceale poliglotta diventata general manager nel campo della gioielleria di lusso, «e poi qui le donne sono tutte bionde e i redditi sono fra i più alti d’America». Diciamolo subito: Francesca Ambrosoni, immigrata bustocca naturalizzata americana nel 2018, non ha votato Trump. «È dura», confessa: «Mi auguro che i tanti megafoni trumpiani, penso agli immigrati o al genere, restino specchietti per le allodole. Vivrò i prossimi quattro anni con il fiato sospeso: li posso affrontare solo sperando che non si facciano danni più di tanto». Esagerata? La sua testimonianza di «immigrata in business class», come si definisce, non lascia spazio a dubbi: no. E per spiegarlo parte dalla trentennale esperienza con aziende italiane e americane: «È inimmaginabile il divario tra ricchezza e povertà che c’è in questo Paese. Lavorando nella gioielleria di alto livello posso dire che i price point più alti, cioè dai 50/70mila dollari in su, sono quelli che risentono sempre meno della crisi. Intanto», sottolinea Ambrosoni, la classe media ha costi della vita sempre più alti, soprattutto per la sanità e per l’istruzione».
Inutile chiederle se si è divertita all’Inauguration Day...
«Lunedì (20 gennaio, ndr) la maggior parte degli americani era al lavoro, non è un evento che si vive come il Superbowl. La maggior parte dei commenti era sui vestiti, il ballo e sul fatto che il presidente non abbia appoggiato la mano sulla Bibbia, con relative battute: tipo che la Bibbia avrebbe preso fuoco. In quanto a me, faccio fatica a guardare Trump in diretta: come tante persone qui, soprattutto donne, ho bisogno di filtrare tutta la rabbia e la violenza che trasmette: lascio che le cose accadano, leggo le notizie e poi guardo i video. Lo so, è assurdo».
Prealpina ha pubblicato la lettera della scrittrice Liliana Isella, varesina immigrata negli Usa: si sente una democrat delusa. Lei?
«È ciò che accade anche in Italia: gli ideali democratici, liberali e progressisti non sanno più interpretare i bisogni della base, di quelle persone per esempio cui non è garantito il diritto di curarsi. Temo una sinistra sempre più arroccata su posizioni intellettuali, dalla pancia piena. Ed è tragico. Per l’Italia e per gli Stati Uniti. Certo che sono delusa. La classe media ha l’abitudine di dire “The system is broken”: quello che i democratici non hanno saputo fare è spiegare agli americani che sì, il sistema è rotto e possiamo essere parte della causa, ma fidatevi di noi per aggiustarlo».
Così hanno votato Trump.
«Perché c’è totale sfiducia nella politica e verso chi la fa di professione: Kim Kardashian avrebbe preso più voti di Kamala Harris. Così per riparare il sistema si punta sull’uomo non politico: Donald Trump. Lo stesso uomo sul quale hanno puntato i ricchi, il capitalismo estremo».
Giorgia Meloni era l’unica premier europea presente all’insediamento dell’uomo più potente del mondo: Italia “over the top”?
«Secondo me non dobbiamo leggere più di tanto in questa presenza. La crisi che stanno vivendo Francia e Germania fa spiccare l’Italia in virtù della stabilità del Governo Meloni. L’America comunque ha sempre amato gli italiani: non sono pericolosi, sono simpatici e facili da gestire».
Non è proprio gratificante...
«Nel senso che gli italiani sono prevedibili nella loro imprevedibilità. Di certo gli americani ci riconoscono grandissima artigianalità e gusto, ma non aspettiamoci vantaggi: se un giorno fosse utile mettere l’Italia in disparte Trump lo farà».
Tipo imporre dazi.
«Per il lavoro che faccio, sono curiosa di vedere cosa succederà».
Torna spesso in Italia?
«Tre o quattro volte all’anno. E, al di là degli affetti familiari, ritrovo il calore umano. Qui le amicizie sono molto basate sul networking: la prima cosa che ti chiedono è che lavoro fai. Invece, a infastidirmi di più dell’Italia è la tendenza a lamentarsi: sempre a guardare il bicchiere mezzo vuoto, sempre ad avere poca spinta verso ciò che si può fare per migliorare».
Perché scusi, gli americani non si lamentano?
«L’America è un Paese spietato. La vita è dura. O ti dai veramente da fare o sei finito. Niente scorciatoie. All’anno cinque giorni di malattia retribuita, zero ferie pagate, periodo di maternità ridotto all’osso. La scuola è meritocratica e con costi altissimi. Ho amici che per curarsi, pur con l’assicurazione medica, per cui si pagano cifre sconvolgenti, hanno fatto bancarotta. Il mio medico ha litigato due mesi perché non volevano passarmi l’ecocardiogramma sotto sforzo ma solo il cardiogramma: non mi ritenevano abbastanza grave. Ovvio, se mi viene il cancro torno in Italia. Eppure io ho fiducia in questo Paese. È come se nell’aria ci fosse sempre un moto di divenire, di speranza: credere che che si può fare qualcosa e meglio».
Forse perché lì vi sentite al sicuro: Law & Order. Qui a Varese si continuano a denunciare furti...
«Vero, c’è un assoluto e totale rispetto per la proprietà. Qui se anche ti rubano la bicicletta la Polizia fa le indagini: pensi che dopo due mesi mi hanno mandato una lettera di scuse per non averla trovata. In Italia, quando sono entrati i ladri in casa di mia suocera, il poliziotto ha detto: se non ha l’assicurazione inutile fare denuncia. Gli italiani hanno perso la capacità di protestare per cambiare le cose. Ma va detto che in Italia, rispetto agli Usa, la vita è molto più comoda».
Non esageriamo. Vogliamo parlare dell’italica burocrazia?
«In effetti qui è tutto molto più semplice. La prima volta che ho avuto bisogno di rivolgermi alla DMW per la patente gli amici mi terrorizzarono: non hai idea, è un posto pessimo, gli impiegati sono sempre arrabbiati. Sono entrata: mi sembrava di essere in un buon ufficio pubblico italiano».
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