DA PROVARE
L’arte che allena l’energia interiore

Molti lo vedono ancora come uno sport da calci e pugni. In realtà il karate è tutt’altro: è una disciplina antichissima del Giappone e, come avviene per altre arti marziali, si tratta di una nobile arte, dove la violenza non esiste.
Ci si deve quindi dimenticare dei “calci volanti” e dei “pugni rotanti” spesso trasmessi da film e cartoni animati, anche se proprio un lungometraggio ha contribuito a sdoganare ulteriormente quest’attività in Italia, grazie all’enorme successo, negli Ottanta, ma anche successivamente di Karate Kid.
LA STORIA
Attorno al 1500 il re Sho Shin per mantenere la pace nei tre regni di Okinawa, in Giappone, vietò il possesso di armi, che furono raccolte e chiuse in un magazzino di un castello. Gli abitanti, allora, si dedicarono in segreto allo studio di una forma di autodifesa da usare contro gli invasori. Così nacque l’antenato del karate.
Nel corso dei secoli, si svilupparono diversi stili, nomi e scuole di quest’arte, finché nel 1921 Shuri Funakoshi prima organizzò un’esibizione che fu molto apprezzata dal principe Hirohito e, poi, scrisse Ryu-kyu kempo: karate (mano cinese). Dieci anni dopo il karate fu ufficialmente riconosciuto dal Butokukai, l’organizzazione imperiale per l’educazione della gioventù. Da lì in poi fu un crescendo. Nel dopoguerra, l’interesse per il karate crebbe anche in Occidente. Ormai quella disciplina pioneristica nata dalla necessità di doversi difendersi senza armi, era diventata tradizione, “invadendo” pacificamente il mondo e giungendo ai giorni nostri.
L’ESPERTO
E il karate porta con sé tantissimo del Giappone perché, come spiega Filippo Sanfilippo, istruttore Uisp, «questa disciplina permette di migliorare se stessi. Il percorso parte e passa innanzitutto dal conoscersi fisicamente, mettendo a nudo pregi e difetti che, poi, si cercano di migliorare con la pratica. Superato questo primo livello, dove è fondamentale capire che il nostro corpo è collegato in un tutt’uno, entra in gioco la parte mentale. La base di tutto è l’autocontrollo, ovvero il saper esprimere il massimo della forza, ma senza provocare alcun contatto».
In questo esercizio, dove mente e corpo si fondono, «è fondamentale avere la testa limpida, libera dai pensieri esterni. Quando si sale sul tatami, infatti, bisogna lasciare fuori le questioni della propria vita e, magari, terminata la sessione di karate, queste situazioni si possono riprendere in modo più rilassato e sotto un’altra ottica».
Eppure, ancora oggi, ci sono da vincere spesso dei pregiudizi: «Quando abbiamo organizzato dei corsi a scuola - conclude Sanfilippo - le maestre erano un po’ dubbiose, perché temevano di vedere i bambini dare calci e pugni. Tutt’altro: quando iniziarono a vedere e ad apprezzare degli esercizi di psicomotricità e tutti gli altri, ne sono state entusiaste. E, con loro, anche gli alunni».
FILOSOFIA
Come avviene per le più grandi discipline orientali, il karate è inteso come sistema di disciplina interiore, capace di condizionare tutti gli aspetti della vita dei praticanti. Per chi lo segue nella sua accezione più classica, il più grande ringraziamento che il praticante possa elevare è quello di poter conoscere, il Dō, la “via”, un lento e misterioso cammino dell’essere verso il proprio compimento.
IN ITALIA
Il karate entrò nel nostro Paese nei primi anni Sessanta e all’inizio si è diffuso nelle principali città italiane dai primi pionieri che lo avevano appreso nel corso dei loro viaggi, alcuni in Oriente, altri a Parigi, che è considerata ancora oggi la culla del karate in Europa.
Il 15 dicembre 1963 uno dei padri fondatori del karate italiano, Maestro Augusto Basile, insieme con altri colleghi, diedero vita al primo congresso Europeo di Karate e saranno riconosciuti come i padri fondatori della nascitura World Karate Federation.
I primi corsi di karate in Italia videro la luce nel 1965 nella palestra Judo Kodokan di Firenze in via Cavour, diretti dal maestro Vladimiro Malatesti, marinaio professionista, che conobbe il karate in Giappone in uno dei suoi viaggi. Da quel momento in poi, il “seme” era stato gettato e fu una continua ascesa, fino alle decine di migliaia di praticanti odierni.
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