IL QUADRO CLINICO
La gravità dell’ipertensione arteriosa polmonare

La mancanza di una sintomatologia ben precisa che ne ritarda la diagnosi, delle limitazioni pesanti nelle normali attività quotidiane, come fare le scale, percorrere a piedi anche una breve distanza, vestirsi al mattino, ma soprattutto una elevata mortalità se non si interviene in tempo: è questo il quadro clinico dell’ipertensione arteriosa polmonare (PAH), detta anche malattia che “toglie il respiro”.
PREVALENZA NELLE DONNE
Una condizione molto grave che colpisce in prevalenza le donne rispetto agli uomini e che riduce in modo notevole la funzione meccanica del cuore, al punto che non riesce più a pompare la quantità necessaria di sangue ai polmoni. La mortalità, come abbiamo detto, è molto elevata: il 15% a un anno dalla diagnosi, 32% a 3 anni e 43% a 5 anni. Finora l’unica speranza per questi pazienti (30 mila in Europa, 3.500 in Italia) era il trapianto di polmone o di cuore-polmone. La malattia è conseguenza di un’alterazione primitiva delle piccole arterie polmonari, vasi di circa mezzo millimetro di diametro che perdono la capacità di dilatarsi, aumentando enormemente la resistenza al passaggio del sangue. Vengono così compromessi sia la circolazione che gli scambi gassosi.
LE CAUSE
Le cause possono essere una mutazione genetica ereditaria o altre malattie croniche. Si manifesta con dispnea, cioè difficoltà a respirare. All’esordio la sintomatologia è sfumata, il paziente lamenta solo una perdita di efficienza. Patologia subdola ma evolutiva, che nel giro di pochi anni rischia di compromettere in maniera definitiva le dimensioni e la funzionalità del ventricolo destro del muscolo cardiaco. È determinante avviare al più presto questi pazienti ad uno dei 30 centri di riferimento distribuiti sul territorio nazionale, la cosiddetta rete Italian Pulmonary Hyperthension Net work (IPNET). Solo con una diagnosi tempestiva (radiografia del cuore), accompagnata da strategie terapeutiche che agiscono sui vari meccanismi fisiopatologici, si può sperare in un migliore decorso clinico. «Una patologia dalla quale non si guarisce, ma con la quale si può convivere - conferma Vittorio Vivenzio, presidente dell’Associazione Malati di ipertensione polmonare (AMIP) - nonostante le ripercussioni sulla vita di tutti i giorni per coloro che ne soffrono e anche per coloro che li assistono, sia come familiare che caregiver, prendendo giorno dopo giorno coscienza dei limiti causati dalla malattia e inventando un nuovo modo di vivere. La nostra missione è quella di essere al servizio di tutti, facendo da ponte con i medici e le istituzioni. Il Paziente è prima di tutto una persona, che non va lasciata sola e che deve essere presa in carico da un team multidisciplinare».
LA RICERCA
Negli ultimi dieci anni, la ricerca ha fatto molti passi in avanti, mettendo a disposizione farmaci sempre più efficaci. Tuttavia, è ancora forte la necessità di sperimentare sempre nuove opzioni terapeutiche. L’ultima, in ordine di tempo, è la sotatercept, primo e unico inibitore biologico di segnalazione dell'attivina, presentato all’ultimo Congresso dell'American College of Cardiology a Los Angels dai ricercatori di Merck Sharp & Dohme (MSD), dopo i confortanti risultati di uno studio in fase III. «Da oltre 130 anni prosegue la nostra missione di “Inventare per la vita”, alla scoperta e allo sviluppo di farmaci e vaccini innovativi per decine di patologie - sottolinea Nicoletta Luppi, presidente di MSD Italia - a questo programma che ci vede tutti impegnati si aggiunge ora un nuovo tassello per i pazienti che soffrono di ipertensione arteriosa polmonare, con la speranza di una migliore qualità della vita, perché una vita in buona salute non è mai abbastanza».
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