DA SAPERE
Una scossa emotiva con il giusto timbro

«Il telefono… la tua voce»: era la fine degli anni Settanta quando quella che è stata la principale azienda di telecomunicazioni italiana si presentava con uno spot diventato una sorta di tormentone. Uno spot che oggi non funzionerebbe come allora, visto che anche le forme contemporanee più usate di telefonia, i cellulari, non hanno come caratteristica principale di utilizzo quella di far sentire le voci per poter comunicare.
«Per certi versi siamo in questo momento la generazione meno avvezza al contatto vocale e questo per la nascita di strumenti come WhatsApp e i messaggi scritti - sottolinea lo psichiatra e psicoanalista Vincenzo Maria Romeo -. E anche il messaggio vocale non è così immediato come il parlarsi direttamente».
Una “vacatio” dell’uso della voce che pone davanti a persone che si contattano anche appunto senza vocale o comunque con un vocale “in differita”. «E questo - aggiunge Romeo - ha a che fare con una crescente difficoltà a rappresentarci attraverso la timbrica che esprime le istanze emotive. Cosa che in una relazione tramite voce diretta può essere percepita: non solo in termini di come l’altra persona riceve la nostra voce, ma anche di come noi la utilizziamo. La voce, nella sua capacità di utilizzare diverse gamme, è uno strumento fondamentale con cui veicoliamo infatti non solo un contenuto, ma soprattutto i colori delle nostre emozioni». Quelle che nei messaggi scritti vengono sostituire dalle emoticon. Pur senza gli stessi risultati.
«Se non ci sentiamo, se non ci parliamo – spiega ancora lo psichiatra – perdiamo la capacità di comprendere cosa mandiamo emotivamente all’altro. Oggi viviamo una situazione generale dove tendenzialmente non risolviamo una circostanza incontrandoci o parlando direttamente, ma preferiamo affrontarla a distanza, moderando il messaggio il più possibile, confezionandolo in maniera ideale evitando quello che può essere un “laboratorio” di percezione emotiva o affettiva, svuotandolo di connotati che mi sappiano dire dove sono emotivamente e cosa ti do emotivamente».
Un meccanismo che si instaura anche nell’utilizzo del messaggio vocale inviato per esempio via WhatsApp perché, sottolinea ulteriormente Romeo, «nella vocalità immediata c’è quello che dico e che senti contestualmente, se invece il vocale è in differita lo spazio che si crea non consente la piena dinamica e dunque, per quanto possa essere “colorito”, è privo del contatto e del sentire altrui».
E atrofizzare l’aspetto del parlare direttamente porta con sé una serie di problematiche non indifferenti. «Pensare di fare a meno del vocale - è ancora il parere dello psichiatra - porta all’incapacità di sapere cosa sto effettivamente sentendo». Secondo Romeo anche alcuni disturbi come crescenti balbuzie che vengono notate anche nei bambini, oltre a una componente emotiva, potrebbero legarsi al sempre minor contatto con la voce al quale si sta assistendo. La perdita di questo aspetto si può legare a diversi fattori: una questione che ha a che fare con il tempo e con l’incapacità di fermarlo considerandolo solo come aspetto meramente produttivo, ma anche con le pieghe educative. «Ci sono aspetti relazionali intimi, personali e interpersonali – conclude Romeo – che non dovrebbero entrare nella digitalizzazione. Imparare a dare valore al tempo e confinare alcuni spazi che devono restare verbalizzati, espressi a voce, quali i vissuti emotivi, le relazioni è fondamentale. Prendiamoci il tempo per parlarci e per sentirci attraverso le parole, per avere la possibilità di ascoltarmi e ascoltarti».
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