L’ESPOSIZIONE
L’artista Thao Nguyen Phan all’HangarBicocca
La mostra che scava nel passato intrecciando storia e tradizioni vietnamite

«Reincarnations of Shadows» è la prima personale italiana dell’artista vietnamita Thao Nguyen Phan (Ho Chi Min City, 1987) all’HangarBicocca di Milano, fino al 14 gennaio. I temi sono quelli oggi più in voga: lo sfruttamento delle risorse naturali; la crisi alimentare; le geografie postcoloniali; le narrazioni ufficiali della Storia…
Ci si aspetterebbe, dunque, una mostra che ponga l’impegno politico al centro del fare artistico e che questo sguardo si trasformi in espediente formale che trascuri gli aspetti estetici, quasi a non voler sminuire la preponderanza del messaggio. Ed, invece, mossi i primi passi nel grande spazio che ospita l’esposizione, si coglie la poeticità che pervade l’intero corpusesposto.
Si è accolti da una serie di acquerelli, a parete o autoportanti (Hanois Children Palace e Golconde, 2023): aeree figure geometriche danno vita a gustosi passaggi visivi e cromatici ispirate ai brise soleil, trafori che l’architettura del sud-est asiatico sfrutta per schermare dal sole e migliorare l’areazione. Il registro pittorico della Phan si muove tra questa astrazione geometrica e una figurazione fanciullesca di scene di immediata quotidianità (come gli acquerelli della serie Dream of March and August, la cui leggerezza è sottolineata dall’allestimento che li prevede sospesi). L’artista è, tuttavia, soprattutto nota per i suoi video: lavori formalmente complessi in cui si alternano immagini, moderne e storiche, testi, animazioni e suoni ambientali che costruiscono storie al limitare tra racconto documentale e fantastico; di cui è coinvolgente esempio Becoming Alluvium (2019-in corso).
Siamo al cospetto di un’arte tramestante e memoriale, che rovista negli archivi documentali, d’immagini e della memoria. L’amorevole scavo nel passato trasceglie quali fonti d’ispirazione e materiali di lavoro modelli letterari ma soprattutto storie folcloristiche, fiabe popolari, leggende o racconti orali (che l’artista ritiene “racchiudano un livello più alto di verità”) che depositano sulle opere un velo di spiritualità, e, nei video, si mutano in parole e brevi animazioni. Questi elementi, giuntici dalle lunghe generazioni che ci hanno preceduto, detengono, implicati in essenza, una speciale spiritualità originaria che permane nel tempo.
Delicato come rugiada, questo senso che supera l’immanenza è presente allo spettatore che lo coglie nella particolare delicatezza dei lavori (ricco di senso Voyages de Rohdes, 2014-17: una delle opere che l’allestimento rende più suggestive); nella concatenazione dolce delle immagini in movimento; nei dipinti esili. Una spiritualità che, forse, non è esplicitamente cercata ma che, originaria e consustanziale, persiste e permea le opere senza che i temi trattati riescano ad asciugarla. È per questo che ci piacerebbe vedere -lo diciamo senza polemica- l’artista alle prese con questioni che propongano punti di vista alternativi o che incrocino questioni esistenziali e indaghino la vita e il suo significato, fuori dalle contingenze.
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