COME COMUNICARE
Le notizie vanno date a prescindere?
Il destino di Julian Assange: due sentenze che pongono l’accento sull’etica del giornalismo

Qualche giorno fa abbiamo rivisto con piacere in tv “Tutti gli uomini del presidente”, il film del 1976 nel quale un Robert Redford e un Dustin Hoffman al culmine dello splendore, interpretano i due giornalisti ai quali è attribuito universalmente il merito di aver fatto scoppiare lo scandalo Watergate che portò Nixon a dimettersi dalla presidenza degli Stati Uniti.
È questo uno dei capolavori assoluti del cinema di indagine giornalistica che non può che essere tra i nostri preferiti. Tanti sono i film incentrati su brillanti reporter che, nella storia, hanno indagato a rischio della propria vita su personaggi senza scrupoli o vicende spinose e quello che ci ha sempre colpiti, perché emerge in tutti, è l’assoluto rigore etico alla base di chi ha realizzato queste inchieste.
Non solo verifica della notizia o protezione della fonte, bensì, forse più di tutto, tutela del lettore: perché è a lui che si fa un servizio e per farlo come si deve è fondamentale tenere presente che non è sufficiente dare una notizia, ma è indispensabile comunicarla nel modo corretto, in tutte le declinazioni che questo termine può assumere. Se così non è possibile, allora questa notizia non va data.
Un film poco noto ma paradigmatico in questo senso, è “Shattered Glass - L'inventore di favole” che racconta la storia vera di Stephen Glass, che scrisse decine di falsi articoli su un'importante rivista politica americana. L'intento distorto di Glass non era mentire, bensì porre l'accento su temi importanti della contemporaneità e, per farlo, elaborava vicende inventate al puro servizio della narrazione che voleva portare avanti. Questo caso limite, utile a farci capire come non si fa giornalismo, pone un quesito importante: fino a che punto, nello spettro della moralità, è lecito spingersi per fare informazione?
Il film ci è tornato in mente perché in queste settimane nelle quali si discute del destino di Julian Assange, il mondo del giornalismo riflette su due sentenze che lambiscono la vicenda del fondatore di Wikileaks e che possono avere un peso non indifferente sul modo di informare del prossimo futuro. Curiosamente questi provvedimenti giudiziari sono arrivati quasi in contemporanea da parte della Corte di Cassazione italiana e del Tribunale penale di Lisbona e rispondono a una domanda: è lecito diffondere notizie procurate attraverso metodi illegali?
Il caso di Wikileaks rientra in questa ambiguità e le due sentenze stabiliscono che no, non può essere accettabile la diffusione di informazioni, anche importanti, se procurate con il dolo. Ovviamente apriti cielo, subito si è parlato di bavaglio dell’informazione e si è tirato in ballo l’articolo 21 della Costituzione sulla libertà di espressione. Non stiamo a entrare nei termini giudiziari delle sentenze, ma ci interessa un principio che talvolta viene dimenticato proprio da chi fa questo mestiere in preda a una patetica autoesaltazione da intoccabile casta: quello che conta per un giornalista, non è informare. È informare bene. E buttare in pasto a tutti qualsiasi notizia, senza quel filtro e quella selezione che solo il giornalista vero sa fare, in base al principio che “la gente deve sapere”, a nostro avviso non è fare bene questo mestiere, ma anzi, ridurlo al ruolo di una pettegola portinaia.
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