NEL VERDE
Love kills: il pollice verde rivolto all’ingiù
L’amore che uccide le piante nasce molto spesso dalle troppe premure

Le piante, checché se ne dica, sono organismi semplici. Almeno, sono semplici secondo una logica umana e animale. Hanno anche il “vizio” di semplificare tutto, unificando sotto pochi tipi di reazione tutti gli stimoli che ricevono. Le piante ovviamente non ridono, non gemono, non piangono e non urlano, ma neppure trasmettono disappunto, fastidio, gioia, rabbia, paura o gratitudine. In definitiva le piante, nelle nostre mani, o vivono bene e crescono, oppure muoiono. E se ci provano a vivacchiare, noi le eliminiamo: se avete dubbi, chiedetelo ad un agricoltore che ha una vigna che “non fa uva… l’ergastolo non è contemplato.
In natura è diverso, è più complicato, perché li se la vedono tra di loro, e il vivacchiare può essere una sublime arte di sopravvivenza in attesa di un’occasione propizia che però potrebbe anche non arrivare mai. Ma uno ci prova, o ci deve provare, o no? Finché c’è vita c’è speranza – lo abbiamo inventato noi, forse guardando loro.
Ma veniamo alle nostre “amiche” verdi che coltiviamo in giardino, sul balcone o in casa. La volontà di circondarsi di piante è condivisa da molti – memoria atavica che risale a prima della “discesa dagli alberi” di noi scimmie nude – ma il successo come coltivatori, invece no. Ma da cosa dipende? Talento, intuizione o istruzione?
Diciamo chiaramente, per noi umani, imparare a coltivare le piante, non è stato semplice: la coltivazione delle piante, l’agricoltura, è stata la prima di tutte le nostre rivoluzioni. Molto prima, ma molto prima, di quella copernicana, giacobina, industriale, bolscevica, informatica o sessuale. Insomma, un vero sconvolgimento per chi usava le piante solo come rifugio o come fonte di cibo da raccogliere senza fare nulla consciamente per il loro “benessere”. La nostra vita, da quando abbiamo imparato a coltivare le piante, è cambiata radicalmente, non solo per la disponibilità di cibo: da nomadi siamo diventati stanziali e abbiamo iniziato a costruire e ad abitare case. Ne abbiamo costruite tante da finire a vivere in città, lontano da campi, prati e boschi. Allora le piante hanno iniziato a mancarci e per moda o per diletto abbiamo provato a ripercorrere le tappe della nostra storia, reinventandoci coltivatori.
Ma a questo punto il popolo dei pollici verdi ha dovuto rendersi conto che il desiderio o la volontà di allevare piante non è sufficiente. Ci si divide infatti in due fazioni: i pollici verdi rivolti all’insù – i veri pollici verdi che coltivano con successo – e i pollici verdi rivolti all’ingiù, cioè quelli che nonostante tutti gli sforzi le piante le fanno morire. La condizione di questi ultimi è veramente frustrante, anche perché molto frequentemente l’insuccesso dipende dal troppo amore. “L’amore non dà compensazione” è proprio il primo verso di “Love Kills”, grande successo del mitico Freddy Mercury.
L’amore che uccide le piante nasce molto spesso dalle troppe premure, un po’ come si rimpinzano esageratamente i bambini per farli crescere, rendendoli obesi. Solo che le piante non ingrassano, fanno indigestione e muoiono. Gli esempi sono molti a partire dall’acqua. Troppa acqua fa marcire le radici perché rende il terreno asfittico senza ossigeno, impedendo l’attività metabolica. E si, perché le piante, oltre a fare la fotosintesi, respirano esattamente come tutti gli animali, inclusi noi. Ho visto letteralmente “annegare” per troppe annaffiature cactus e altre piante grasse, notoriamente adattate a climi aridi. Un altro caso tipico sono i fertilizzanti, che in sostanza sono dei sali. Una concentrazione di fertilizzanti troppo elevata nel terreno crea un ambiente dal quale le piante non riescono più ad assorbire acqua, per cui le poverine appassiscono fino a morire. Attila, che spargeva sale, docet.
La luce, la fonte dell’energia per il processo fotosintetico, è un discorso un po’ più articolato. Molte piante da appartamento hanno il loro habitat naturale nel sottobosco delle foreste tropicali. La convergenza ecologica con le nostre abitazioni può sembrare paradossale, ma è giustificata. Caldo e penombra dominano in entrambi i casi, l’umidità invece è completamente diversa: elevata se non elevatissima nelle foreste tropicali e decisamente bassa, se non troppo bassa, nei nostri appartamenti. Tant’è che a volte dobbiamo ricorrere ad umidificatori per respirare bene, specie quando il riscaldamento è acceso. Per lo stesso motivo è preferibile irrorare le piante con spruzzatori, piuttosto che allagare i vasi.
Quello che assolutamente non va fatto è mettere le piante di appartamento sul balcone in piena luce in primavera o estate. L’eccessiva illuminazione letteralmente fulmina clorofilla e apparati fotosintetici; le piante così ingialliscono e perdono le foglie, altro che rigenerarsi!
Qualcosa di simile può succedere mettendo le piante troppo vicino alle finestre. D’inverno le poverine si prendono certi spifferi gelidi se gli infissi non sono più che a tenuta, oppure ogni volta che apriamo le finestre per cambiare aria.
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