SPAZIO PER PENSARE
Abbasso le riunioni, ridateci l’ozio e il tempo
La voglia di un vuoto da riempire con saggezza

L’idea che sarei tornato a parlare de La Riunione, libro Feltrinelli scritto da uno dei migliori autori televisivi italiani, Pietro Galeotti, l’avevo confessata fin dall’inizio e non soltanto per le due trovate geniali contenute nel racconto, cioè parlare di chi ci sarà o no al proprio funerale, indagare per selezionare affettuosi e menefreghisti in presenza dei suddetti, ovviamente partecipanti alle riunioni, e denunciare il fatto che non c’è vita fuori dai meeting, ormai.
Ne voglio riparlare non soltanto perché nel testo ci sono brocardi o battute, decidete voi, fulminanti come quella di Vulvia, alias Corrado Guzzanti: «Per cambiare la televisione, bisogna andare al negozio». Oppure quella dell’editore e intellettuale Vanni Scheiwiller: «Non ho nulla contro il successo, ma neanche contro l’insuccesso». Oppure quella di Pietro Galeotti: «Ognuno di noi coltiva con cura il segreto del suo insuccesso». E ancora quella di Pietro Galeotti: «Si capisce dal primo incontro preparatorio per la riunione di domani che il programma sarà un casino totale. Veti incrociati, sospetti, filosofie opposte di intrattenimento, stili incompatibili. C’è già tutto il necessario per naufragare. O trionfare contro ogni logica». Ma si parla della tv o della vita di ognuno di noi?
Boh, intanto non è di questo che volevo parlare e/o scrivere, ma di ben altro. Di una cosa che mi gira in testa senza, anzi, contro ogni logica da quando ho letto La Riunione. È una domanda. È una riflessione che tira in ballo l’ozio, nel senso virgiliano e oraziano del termine, cioè un vuoto da tutto per riempirlo di saggezza. È la soluzione, mia personale, ovviamente, all’enigma del libro di Galeotti. Tanto lo abbiamo già scoperto che un libro, una volta scritto, diventa quasi più dei lettori che degli scrittori. È una cosa che vorrei tanto chiedere all’autore tv e del libro, ma non vorrei essere deluso. Magari mi sono costruito tutto un film, ho dato una interpretazione troppo socio-psicologica del volume, di questa voglia di parlare del funerale cui magari nemmeno lui stesso parteciperebbe. Delle riunioni che sembrano non andare da nessuna parte e poi vanno addirittura in onda, in prima serata, magari con Fiorella Mannoia come conduttrice o star. Tutto questo girare attorno a professioni che declinano, a “si stava meglio quando si stava peggio”, a “non esistono più le mezze stagioni televisive”, ancora meno quelle di una volta, a “com’ è bravo Carlo Sassi” e “che ridere con lui”, a “come ci vorrebbe un pubblico più così” oppure “più cosà” e comunque la “’Ndrangheta in tv non tira”. Insomma, ma non è che voleva dire una cosa semplice quanto radicale, cioè che per pensare ci vuole soprattutto il tempo?
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