L’ITINERARIO
Alba, la città del tartufo bianco

Arroccata in un’ansa del Tanaro, la città di Alba ha senz’altro una fama maggiore delle proprie dimensioni: appena trentamila abitanti, una sorta di grande salotto in cui tutti si conoscono, con una missione consacrata al buon vivere e al far vivere bene gli altri.
Una città bianca come richiama il suo nome, Alba e come il suo prodotto di punta, il Tartufo. Ma pure una città rossa, di partigiani, di porfido, coppi e mattoni, così medioevali e così piemontesi. Fenoglio, attraverso gli occhi di uno dei suoi personaggi, la descriveva così: «Mi stampai nella testa i campanili e le torri e lo spesso delle case, e poi il ponte e il fiume, la più gran acqua che io abbia mai vista».
Alba ancora fa la stessa impressione a chi scende dalle Langhe verso la sua Capitale, sempre lì con i suoi mercati, i suoi negozi eleganti, i caffè, le pasticcerie, le campane delle tante chiese e i suoi straordinari personaggi, come Michele Ferrero, il papà della Nutella.
Visitare Alba vuol dire anche abbracciare e lasciarsi abbracciare dalle colline circostanti: le Langhe, la Toscana del nord, a un paio d’ore dalla provincia di Varese.
Fra queste colline si viaggia accompagnati dai borghi che svettano su qualche collina, dove i campi dei versanti lasciano spazio, in cima, a chiese, castelli, palazzi e case ben ordinate. Andar per Langa è talmente bello che si può gironzolare senza meta, restando potenzialmente affascinati dopo ogni curva, dove può sbucare uno scorcio, un paesino, un vigneto ben tenuto, un campo di girasoli, una chiesetta in mezzo a un noccioleto. Strade e campi qui si intrecciano con armonia, la stessa che poi si gusta negli straordinari prodotti alimentari di queste terre.
Nelle Langhe il tempo sembra essersi fermato a decenni fa, nell’accezione più pregevole del termine: lo si capisce fermandosi nei paesini, dove ognuno ha la sua enoteca, il negozietto, l’immancabile macelleria.
Quando si parla di Alba, poi, è impossibile non nominare il re incontrastato di questo territorio, vale a dire il Tartufo bianco, il cui mito è dovuto a diversi fattori: una storia secolare, l’attuale impossibilità di coltivazione, grandi capacità imprenditoriali e comunicative di personaggi di assoluto valore e anche un pizzico di gradevole fantasia.
Il suo profumo pare arrivare fin dalle tavole dei Sumeri e degli antichi Romani, ma è da poco meno di cento anni che questo prodotto ha iniziato ad avere il successo planetario meritato, grazie all’intuizione di Giacomo Morra colui che, all’inizio del secolo scorso, si inventò una sorta di marketing ante-litteram, decretandone il successo. Morra divenne in poco tempo ambasciatore del territorio presso i potenti della Terra dal Negus a Kennedy e Nikita Krusciov e presso quelli che erano i personaggi più amati del momento: Marylin Monroe, Rita Hayworth, Alfred Hitchcock, iniziando la tradizione di donare a un personaggio pubblico il migliore tartufo della stagione. Grazie a questa spinta vip, oggi il tartufo è diventato, a pieno merito, una delle massime espressioni della cucina italiana e non solo.
Profumatissimo, inebriante, coinvolgente, per molti addirittura afrodisiaco, il Tartufo bianco d’Alba dà un tocco di nobiltà a ogni portata, conferendo un tono a piatti semplici e originalità alle ricette più sfiziose. Pochi grammi -ne bastano una decina per impreziosire abbondantemente una porzione- sono sufficienti a suscitare quelle emozioni che i gourmet di tutto il mondo ben conoscono.
Unica regola? Lo si consumi rigorosamente crudo, su piatti tendenzialmente neutri, base essenziale per valorizzarne il profumo articolato, intenso e travolgente. Prima di degustarlo, però, lo si deve trovare: un’esperienza che tutti possono vivere accompagnati dal Trifolau, il termine dialettale con il quale si definisce il cercatore di tartufi. Un cercatore che, col suo cane, condurrà i turisti nel bosco alla ricerca del prezioso fungo ipogeo, guidato solo dal fiuto dell’animale e dall’intuito maturato in anni di esperienza.
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