A TEATRO
Massimo Recalcati, Marco Foschi, Federica Fracassi e Danilo Nigrelli in scena al Parenti

Amen è una parola antica, biblica. Una parola straordinaria, piccola, breve, immensa. Tiene insieme la vita e la morte, è per un verso la benedizione del mondo, la grazia per tutte le cose che esistono, allude allo splendore della luce del mondo, ma è anche l’ultima parola, quella del congedo, della fine. Chiude la preghiera. Ed è la parola che conclude la nostra vita». Così Massimo Recalcati introduce al suo primo testo teatrale, Amen, fino al 17 ottobre nella Sala Grande del Teatro Parenti di Milano, per la regia di Valter Malosti e con le voci di Marco Foschi, Federica Fracassi e Danilo Nigrelli (foto di Laila Pozzo). Un testo che lo psicoanalista, saggista e scrittore ha scritto nel tempo del primo lockdown, dopo essere tornato da qualche anno a teatro come spettatore e avere, fino a quel momento, segnato qualche appunto iniziando a concepire l’idea di un lavoro di questo tipo, «Il teatro – ha sottolineato – è stata una mia passione giovanile, a vent’anni il mio desiderio era quello di scrivere di teatro. Poi altri incontri, altre scelte, soprattutto la psicoanalisi, mi hanno portato in altre direzioni e ho evitato di frequentare i teatri per separarmi da questo primo amore». Fino alla scrittura di Amen, scritto con «una Milano deserta sul sottofondo dei rumori delle sirene delle ambulanze, delle campane delle chiese, degli elicotteri sopra le nostre teste». E in quella parola, in quell’amen, c’è tutto il testo, «cioè l’idea che la vita umana, diversamente da quella della natura che si rigenera ed è immortale, muore, porta con sé dal primo respiro l’imminenza sovrastante della morte». E di questa “convivenza” ne parla anche da bambino che, nato prematuro all’inizio degli anni Sessanta, ha ricevuto contemporaneamente battesimo ed estrema unzione, perché vulnerabile, piccolo, quasi «destinato a morire». E invece sopravvissuto, come un «piccolo sergente nella neve che ha resistito al freddo dell’incubatrice, della notte, al gelo, alla solitudine». E dato che nel testo parla della sua vita, Recalcati cita anche due libri che hanno segnato le sue letture da ragazzo: proprio Il sergente nella neve di Rigoni Stern e Uomini e no di Vittorini, di cui in Amen si trovano richiami. E se la psicoanalisi pensa che il nostro subconscio è costituito da tracce fondamentali che ciascuno di noi porta in sé, proprio «il mio mito familiare - sottolinea Recalcati - è la mia traccia più fondamentale, che ha costituito la matrice di tutte le altre molto importanti». Commenta lo spettacolo Andrée Ruth Shammah, direttrice e “anima” del teatro Franco Parenti: «L’unico modo per combattere la morte è cantare un inno alla vita. L’unico modo per ricominciare, oggi, è farlo con forza. L’unico modo per riaprire, per riaprirci, dopo tutti questi mesi, è farlo con uno spettacolo che è rivelazione, che è liberazione, per aiutarci ad uscire dal buio, e a tornare alla luce». Con un linguaggio e uno stile potenti uniti al progetto sonoro di Gup Alcaro, accanto al compositore e chitarrista Paolo Spaccamonti. Insieme a creare battiti di cuore. Perché, conclude Recalcati, se ci pensiamo «ogni volta tra un battito di cuore e l’altro c’è un piccolo spazio e uno si chiede “ma ci sarà l’altro? E si si fermasse tutto?”. Noi non governiamo il battito del cuore, ma siamo portati dal battito del cuore. Il nostro cuore ci anticipa, è il primo suono della vita». E in “Amen” il tema è quello «universale del rapporto della vita e della morte, dell’apertura e chiusura, luce e buio, notte e giorno, diastole e sistole».
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