LIBERISMO
I figli so’ piezz’ ’e... PIL

Non c’è due senza tre. Un detto che, se ci si pensa bene, non ha alcun senso. Perché mai, in presenza di due elementi, dovrebbe essercene per forza un terzo? Non si sa, nessuno lo sa spiegare. Sarebbe utile per capirlo conoscere l’origine di questo modo di dire entrato più di ogni altro nella nostra quotidianità ma, purtroppo, non è ben chiaro nemmeno quello.
C’è chi ipotizza che c’entri in qualche modo il matematico pisano Leonardo Fibonacci, inventore della famosa sequenza nella quale il terzo elemento numerico, come sanno gli appassionati della serie tv “Lost”, è sempre la somma dei primi due. Solo un’ipotesi però perché non esistono elementi certi a sostegno di questa tesi. Ma forse, un giorno, quando un umano del futuro cercherà di trovare un’interpretazione a questa allocuzione penserà ai giorni nostri e a quell’inizio di giugno del 2021 quando in Cina... Un incipit sempre più comune di questi tempi visto che pare che tutto ruoti intorno al gigante asiatico.
Ma, a ben pensarci, è inevitabile che sia così anche in riferimento alla decisione del governo di Xi Jinping di consentire alle famiglie cinesi di avere al massimo non più due ma tre figli. Scelta che possiamo anche giudicare lontana da noi ma che invece ci riguarda non poco.
Facciamo un balzo indietro al 1979. Mao è morto da tre anni, la crescita demografica è impazzita ma il paese è con le pezze al sedere e così il Partito decide che le famiglie cinesi non potranno avere più di un figlio. L’equazione è semplice: nei precedenti 30 anni la popolazione era praticamente raddoppiata sfiorando la soglia psicologica del miliardo. Ergo, siamo troppi, rischiamo di morire di fame. La mossa funziona e la percentuale di crescita demografica si dimezzò nelle tre decadi successive tanto che nel 2016 fu autorizzato il secondo figlio.
Ora si passa a tre, una svolta radicale che dovrebbe far applaudire i difensori dei diritti umani ma che presenta invece dei contorni orwelliani sempre più inquietanti. Tornando indietro nel tempo infatti, non è un caso notare che, sempre dal 1979, il Prodotto interno lordo cinese ha goduto di un’impennata clamorosa grazie alle politiche liberiste di Deng Xiaoping che hanno reso il paese un colosso anche sul piano economico.
Per decenni il trend è stato più o meno costante ma ora le cose sembrano andare diversamente: dai picchi degli anni d’oro del +15% al 10% del 2010 si è scesi con una certa costanza al “misero” + 6% dell’ultimo quinquennio. Per noi sarebbe un boom economico, per la Cina è l’inizio della fine.
E la colpa è proprio del calo delle nascite: dai e dai infatti, la popolazione ha di fatto scelto di non crescere (a fronte di 13 milioni di nascite, ben 14 milioni sono stati gli aborti nel 2019), è invecchiata e, quindi, consuma meno. Scesa la domanda, cala la produzione e così via. Insomma, il classico percorso di decrescita che abbiamo vissuto noi pur senza alcuna limitazione alla volontà di procreare.
Il problema è che, in questo turbinio di numeri si rischia di perdere il focus della discussione in virtù di un’ottica liberista ammaliante e insidiosa come la mela di Grimilde. La mentalità, aberrante, è: se siamo troppi, per paura di esaurire le risorse si riduca la popolazione, se siamo pochi e non si producono abbastanza risorse, si aumenti la popolazione. Ma, in entrambi i casi, non sarebbe più semplice consumare meno?
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