DA CONOSCERE
Oltre il boa di struzzo

Da dove viene il programma che da dodici anni con ventun stagioni americane e otto internazionali è ormai diventato un «cult» e una vera e propria enciclopedia di riferimenti artistici, culturali, politici e storici lunga un secolo di vita LGBTQ. Mentre sta per sbarcare su discovery+ l’edizione italiana del RuPaul’s Drag Race, arriva in Italia RuPaul e le altre (Vallardi), una guida al mondo drag e non solo. Scritto da Lorenzo Marquez e Tom Fitzgerald, coppia sposata e legata da oltre vent’anni che ha lanciato nel 2006 il suo primo blog, Project Rungay, per poi diventare riferimento come esperti nei settori della moda, delle celebrità, della TV e del cinema, della cultura pop e della vita LGBTQ, nella traduzione italiana il testo è curato da Matteo Colombo. Il quale, traduttore professionista di narrativa americana contemporanea, ammette non solo di essere «ossessionato» oltre che appassionato e fan da dieci anni di Drag Race, ma anche di aver trovato nel libro anche «moltissimo» di cui non conosceva. «Sarà – spiega – che i traduttori di loro fanno una iperlettura dei testi, ma davvero il libro mette in prospettiva una serie di cose, e già dare un senso di prospettiva ha un significato culturale importante: si mescolano la storia dei movimenti politici LGBTQ, la storia delle origini del drag, i moti di Stonewall. È una specie di porta di ingresso per i giovani interessati, ma anche per capire la storia della comunità LGBTQ». Lui, che spettatore della prima ora al programma dà un valore non solo di intrattenimento, ma anche politico importante, «anche se trasmesso con infinita leggerezza», nel curare il testo per l’edizione italiana ammette di aver «scoperto una complessa rete strutturale che si lega alla storia e alla cultura queer, con un continuo sovrapporsi di citazioni sia nel modo in cui sono congegnate le prove, sia negli aspetti estetici e sostanziali. La teoria degli autori è infatti che Drag Race diventa una sorta di wikipedia in divenire della storia LGBTQ, affrontando temi importantissimi. Al di là dei riferimenti politici, estetici, culturali, del cinema, della musica, ci sono le vite dei concorrenti, molti dei quali hanno storie drammatiche alle spalle».
Da tre anni Vallardi si stava muovendo attorno all’edizione italiana del libro: le vicende legate alla pandemia e al rallentamento della macchina editoriale in generale lo vede venire alla luce oggi, tra l’altro proprio a ridosso, appunto, della versione italiana del format televisivo creato da RuPaul. «Una coincidenza incredibile», nota Colombo, che porta anche nel nostro Paese quello che è ormai un vero e proprio fenomeno sociale. E di grandissimo successo. Dovuto anche all’aver «incrociato circostanze storiche particolari – è l’analisi di Matteo Colombo -. Personalmente ho conosciuto Drag Race attraverso lo streaming pirata e nel giro pochissimi anni quel programmino fatto in uno scantinato è diventato la matrice di una specie di Netflix, hanno proprio una piattaforma, che si chiama Wow Presents, che distribuisce contenuti drag o affini a un pubblico in tutto il mondo e questo è ciò con cui si dovrà confrontare Drag Race Italia. Il pubblico è globale, molto appassionato, e segue tutti i tantissimi franchise della serie. Li guardano tutti da tutto il mondo È un oggetto televisivo di tipo nuovo che ha avuto la capacità di intercettare le istanze LGBTQ, perché di quello parla, e non ha termini di paragone. Il libro usa l’analisi dei primi dieci anni di Drag Race per evidenziare una serie di percorsi tematici attraverso la storia e la cultura LGBTQ o, come si chiama nel libro, queer».
Suscitando l’interesse e l’attenzione non solo della comunità LGBTQ, ma di un pubblico sempre più vasto e anche diversificato. Perché lo show, da “fenomeno di nicchia”, è ora seguito da moltissime persone. Non solo negli Stati Uniti, dove comunque rappresenta ormai in programma mainstream sul quale da anni fanno anche sketch al Saturday Night Show, e che «ha portato una bomba di confusione ben confezionata nelle case degli Americani. E nel mondo. Se il drag è diventato una professione, è anche grazie a RuPaul».
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