ELEZIONI
Il presidente della Repubblica, star indiscussa

Perché piacciono tanto i presidenti della Repubblica? O meglio, perché piacciono tanto gli ultimi presidenti della Repubblica, diciamo da Sandro Pertini in poi, con qualche problema di consenso per Francesco Cossiga, forse allora non capito nell’aver capito la fine della Prima Repubbica, e per Oscar Luigi Scalfaro, ma in fondo anche di un suo bis possibile si parlò? Noi siamo gente difficile da governare, refrattaria al capo perché abbiamo conosciuto un duce, più incline alle regole di quel che si pensa oltre Chiasso (Covid dixit), ma assolutamente sospettosa nei confronti della leadership, qualunque leadership.
Qui da noi i leader di governo scadono prima degli yogurt, quando magari in Paesi vicini durano due o tre lustri, mentre quelli di partito vengono considerati più celebrity da reality show che uomini o donne di potere, almeno fino a quando non hanno responsabilità di governo, appunto.
I presidenti del Consiglio hanno infatti di solito un anno, massimo due di luna di miele, poi stroppiano, ma tanto in Italia più di quel tempo un governo in media non vive. Ogni tanto vengono rimpianti, ma anni dopo. Invece il presidente della Repubblica, che dura sette anni sette, cioè non poco, piace, piace di più.
Si becca sempre, lui, l’applauso più prolungato alla prima della Scala. Perché? Perché da Ciampi a Mattarella passando per Napolitano si è ipotizzata perfino una nuova stagione di sette anni, come fosse una serie Netflix che non vogliamo finisca mai?
Intanto perché i nostri padri costituenti, che erano illuminati dallo spirito santo della pace appena sopraggiunta, sono stati dei geni e hanno trovato una quadra costituzionale che impone una elezione molto travagliata, molto pensata, molto negoziata, molto delegata. Tutti questi riti un po’ stucchevoli che da giorni ci accompagnano come in un reality, appunto, sono la ricaduta teatral-burocratica delle voci dei nostri padri costituenti che dicono ai grandi elettori: «Pensateci bene, pensateci bene, ripensateci bene». E a furia di balletti, dialoghi franchi e franchi tiratori, pensa che ti ripensa, alla fine le scelte sono state quasi sempre fortunate. E poi hanno inserito negli articoli che regolano i poteri dei presidenti e il loro modo di essere tante e tali sfumature che nessuno sa bene dire con esattezza se il presidente ha tanti, pochi o medi poteri. La definizione di Sabino Cassese dei poteri a fisarmonica è dunque perfetta. E spiega perché quella è l’unica leadership che amiamo amare. E poi c’è un luogo, il Palazzo del Quirinale, a fare da sfondo e da set alla persona che interpreta il ruolo da protagonista del romanzo della nazione. Ecco, servirebbe un romanzo ambientato al Quirinale. Chissà, magari qualcuno ha già avuto l’idea.
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