IL PERSONAGGIO
La montagna secondo Messner

Nell’anno funesto della pandemia che ha devastato il mondo, in tanti hanno scoperto o riscoperto la montagna. Distanziamento naturale, aria pura e panorami tali da rasserenare l’animo dopo la clausura dei mesi precedenti, il tutto distante anni luce dalle spiagge che la scorsa estate sono state prese d’assalto da bagnanti accalcati l’uno sull’altro in barba alle prescrizioni anticovid.
«La montagna trasmette valori che ormai nelle città non si trovano più e permette alle persone di rinfrancare la psiche»: a pensarla così è Reinhold Messner, nato a Bressanone nel 1944 e considerato fra i più grandi alpinisti di tutti i tempi: è stato il primo a conquistare l’Everest senza bombole d’ossigeno e a scalare tutte le quattordici cime sopra gli 8.000 metri di quota. Uno spaventoso patrimonio di esperienza e di cultura della montagna, ora in parte raccolto nel suo ultimo libro intitolato Lettere dall’Himalaya, edito da Rizzoli, dove riporta una serie di carteggi scritti da lui o da suoi predecessori. Già, l’Himalaya: proprio nella catena dell’Asia meridionale si trova l’Everest, che con i suoi 8.848 metri è la vetta più alta del mondo.
Negli ultimi anni non è raro imbattersi in fotografie che ritraggono alpinisti in coda, in attesa di raggiungere la cima per la foto di rito.
«Se Walter Bonatti potesse vedere queste immagini - rimarca Messner - si arrabbierebbe tantissimo. Lui che ha vissuto l’alpinismo più tradizionale e pulito, non lo avrebbe sopportato. Purtroppo dove c’è mercato, c’è consumismo. E ora questo è arrivato anche sulle montagne più alte. Negli ultimi trent’anni ho osservato cosa stava accadendo e ho messo in guardia, ma i mass media fino a oggi lo hanno ignorato. Ora ci sono le agenzie che vendono pacchetti completi per portare in vetta persone che da sole non riuscirebbero a percorrere cento metri in quelle condizioni. È quasi come comprare un viaggio per le Seychelles, solo più faticoso e limitatamente pericoloso, ma per il resto non c’è grande differenza». E così adesso la stagione delle scalate si apre in aprile con squadre di sherpa che vanno a preparare i campi base dotati di cucine e ambulatori, ad allestire ponti e scale, a tirare corde fisse per mettere in sicurezza i passaggi più pericolosi.
«Insomma - rimarca l’alpinista altoatesino - è tutto un altro mondo. Nemmeno un metro delle mie spedizioni è stato fatto con davanti gli sherpa».
Ma se sull’Himalaya il senso profondo e pionieristico dell’alpinismo sembra essersi un po’ perso, in altre parti del mondo c’è chi ne porta avanti lo spirito più puro: è il caso di Matteo Della Bordella, alpinista varesino considerato tra i più forti in circolazione, già presidente dei Ragni di Lecco.
«Ecco - prosegue Reinhold Messner - Della Bordella ed Hervé Barmasse sono figure di altissimo livello: il loro alpinismo è fatto di disciplina, voglia di esporsi al massimo, fuori da ciò che è conosciuto. Se Matteo Della Bordella si trovasse in difficoltà in Patagonia, sotto una cima, non potrebbe chiedere l’aiuto dell’elicottero ma dovrebbe cavarsela da solo. Sull’Everest invece ormai non è più così: è tutto organizzato per andare a recuperare fino quasi a 8.000 metri chi soffre la quota. L’alpinismo va dove il mondo non è preparato per l’uomo e l’uomo si prende tutta la responsabilità, non c’entra nulla con chi compra il prodotto più facile e sicuro possibile».
Per questo è importante tramandare questa cultura, questa storia iniziata 250 anni fa: «Prima la montagna era solo fonte di sostentamento per chi abitava lassù, ora è anche desiderio di buttarsi nell’incognita».
Nell’ultimo anno e mezzo la montagna è diventata anche meta di un turismo diverso rispetto al passato, no?
«Senza dubbio - risponde Messner - Tanti italiani sono venuti a trascorrere le vacanze da noi sulle Dolomiti o in altre località delle Alpi. È un segno positivo: significa che la gente cerca emozioni reali e ha tutto il diritto di viverle, con un turismo meno frenetico, godendo del silenzio, della lentezza e del fascino delle montagne».
Il prossimo 17 settembre, Reinhold Messner compirà 77 anni: archiviata la lunga stagione delle imprese alpinistiche, qual è la prossima «cima» da scalare?
«Lentamente mi preparo a lasciare la mia eredità - risponde - non soltanto per quanto riguarda il mio museo o la mia attività di agricoltura alpina. Il mio prossimo progetto si chiama The Final Expedition e si tratta di un festival per raccontare l’alpinismo tradizionale. Ho già previsto tappe in giro per mondo, dall’Australia alla Russia, dall’America del Nord a quella del Sud, senza dimenticare ovviamente l’Europa. Ci saranno incontri pubblici, proiezioni di film, conferenze con esperti. L’obiettivo è di lasciare traccia di quello che era l’alpinismo tradizionale. Se ce la farò oppure no, non lo so ancora. Di certo sono pieno di speranza di riuscire a cambiare ancora una volta il mondo dell’alpinismo».
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