OGGI L’ANNIVERSARIO
Rosa Parks, la donna che cambiò la Storia

Lunedì 5 dicembre 1955. Montgomery, Alabama, ore 9 e 30. Sta iniziando il processo a Rosa Parks. È accusata di condotta impropria e violazione delle norme della città. Un reato strano, commesso quattro giorni prima, giovedì. Intorno alle 18 Rosa, una sarta di 42 anni, era salita sul Bus n. 2857 per tornare a casa e si era seduta nel settore centrale, vicino al finestrino.
In quegli anni in Alabama la segregazione era rigida e inflessibile: il razzismo era profondamente radicato negli Stati del Sud. «Separati ma uguali», si diceva, ma in realtà il Ku Klux Klan spadroneggiava: negato il diritto di voto con la violenza, i neri – quando non venivano linciati per aver osato disobbedire a un qualsiasi ordine – venivano discriminati nei ristoranti, nei teatri, nei bagni. Non potevano neanche sedersi sulle stesse panchine dei bianchi nei parchi.
E anche sugli autobus, naturalmente, non per caso divisi in tre settori: davanti, i primi dieci posti erano riservati ai bianchi. Quelli in fondo, ai neri. Nei 16 posti centrali, invece, si potevano sedere entrambi, ma se un bianco saliva in quel settore, i neri dovevano alzarsi e, se non vi erano più posti, scendere o stare in piedi.
Non solo. I neri dovevano salire dalla porta anteriore, pagare il biglietto, scendere e rientrare dalla porta “in fondo. E talvolta l’autista ripartiva lasciandoli per strada, insultandoli con la solita raffinatezza: “scimmioni neri”, «negracci», «vacche negre», come riportò Martin Luther King nella sua autobiografia.
Quel giorno, quindi, Rosa è nel settore centrale. Dopo tre fermate salgono tre bianchi: il loro settore è occupato. L’autista allora intima ai neri di lasciare il posto. Tre obbediscono, Rosa no. «Perché?», le chiede il conducente. «Perché non credo che dovrei alzarmi», risponde calma, seria e composta. L’autista chiama due agenti e Rosa viene arrestata. Nessun problema, è consapevole del suo gesto e delle ripercussioni.
La Parks infatti è un’attivista: è segretaria dalla Naacp, l’Associazione nazionale per i diritti civili. E da mesi stanno pianificando di sfidare le leggi razziste partendo appunto dai mezzi pubblici. Breve il processo: ascoltate le argomentazioni, il giudice la condanna al pagamento di 14 dollari.
Nel frattempo però sta succedendo qualcosa di incredibile. In gran segreto è stato organizzato un boicottaggio: nessun deve più salire sugli autobus.
Per Montgomery un problema enorme: i neri sono il 75% dei passeggeri e l’azienda rischia il fallimento. Dal 5 dicembre, quindi, la protesta assume una dimensione di massa: la comunità afroamericana si muove a piedi o in taxi, i privati mettono a disposizione le loro auto.
È un trionfo: l’intera comunità, circa 50 mila persone, aderisce e la città è paralizzata.
Tra i leader emerge subito il pastore protestante Martin Luther King: ha solo 26 anni ma è già convinto dell’idea della «non violenza». Come prevedibile, nei giorni successivi in città monta la tensione e la violenza dei bianchi: il 26 gennaio King viene arrestato, poi una bomba esplode davanti a casa sua e altre quattro nelle Chiese dei neri.
Ma questa volta, le minacce di morte non servono: il boicottaggio prosegue a oltranza e finisce davanti ai Tribunali. Il 13 novembre 1956 la svolta: la Corte Suprema degli Stati Uniti afferma che la segregazione sui mezzi pubblici è anticostituzionale. Il boicottaggio era durato 382 giorni, un’eternità. Ma quella lotta non violenta, tenace e testarda era stata necessaria: la storia stava cambiando. Tanti anni dopo Rosa Parks raccontò: «la gente dice che non ho rinunciato al mio posto perché ero stanca, ma non è vero. Non ero stanca fisicamente: l’unica cosa di cui ero stanca era arrendermi». Nel 1999 Rosa ottenne la medaglia d’oro del Congresso, il massimo riconoscimento civile. Il presidente Bill Clinton, prendendo la parola, spiegò: «mettendosi a sedere si alzò per difendere i diritti di tutti e la dignità dell’America».
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