SEGNI RIVELATORI
Quelle linee che danzano sul foglio bianco
Lo scarabocchio racconta chi siamo e che cosa stiamo vivendo

Il fluire della vita è un linea sinuosa. Dietro a una linea spezzata c’è un qualcosa di conturbante. Sarà uno svolazzo tracciato a caso su un foglio a raccontarci chi siamo. E cosa stiamo vivendo. Lo scarabocchio apre una finestra su noi stessi in un contesto. Lo sostiene la specialista degli scarabocchi applicati all’arte terapia, Clelia Felici 34 anni di Legnano che dopo una laurea magistrale in Design al Politecnico ha deciso di seguire la propria strada sulla scia di svolazzi e disegni specializzandosi in Teoria e Pratiche della Terapeutica Artistica all’Accademia di Belle Arti di Brera. Ora insegna Arte e Immagine, promuove la pratica dell’Arte Terapia attraverso la sua pagina Dirtying Hands su Instagram. Non solo, lo scarabocchio fa parte della nostra vita. «Non esistono regole ferree nell’interpretazione degli scarabocchi - spiega Felici -. Sono segni che parlano del linguaggio del corpo, non mentono e soprattutto rivelano anche ciò che sfugge alla nostra consapevolezza. Spesso parlano di qualcosa che neppure noi conosciamo». Ed è per questo che gli scarabocchi sono così affascinanti anche per indagare e capire noi stessi: non solo dunque relegati all’infanzia per comprendere i nostri bambini ma anche per guardare dentro al mondo di un adulto. «Si tratta della manifestazione autentica di noi che non si può ignorare per la conoscenza di sé. Certo è un percorso ma soprattutto non esiste un manuale - sottolinea la specialista di terapia artistica che puntualizza -. Con l’arte terapia non si sostituisce uno percorso da uno psicologo ma si lavora in parallelo, in un contesto di cure si ha un obiettivo comune. Ma non necessariamente è legato alla cura, sempre più spesso lo scarabocchio diventa strumento di consapevolezza», afferma insistendo su un concetto che la specialista ha fatto perché legato al proprio percorso. «Per me è stato così perché il segno racconta chi siamo. Il mio professore a un certo punto del percorso mi diede una illuminazione, proprio partendo da un mio scarabocchio in quel momento. Prese il disegno dicendomi: ecco questa sei tu. Avevo disegnato tanti otto rovesciati. Il simbolo dell’infinito. Per me una immagine potente». Allora, come partire a interpretare gli scarabocchi? «Prima di tutto si deve pensare che sono frutto di una azione e non si può decontestualizzare dal momento. Si tratta sempre di una narrazione soggettiva perché si esprime se stessi in modo differente. È una parte figurativa che rappresenta la nostra realtà e il desiderio, ovvero leggendo lo scarabocchio capisco che desidero qualcosa dalla mia vita». Come si interpretano gli scarabocchi? «Io li leggo come una danza: vedo le persone che ballano su quelle linee tracciate, che possono essere spezzate, sinuose, calcate, colorate, nere. E mi svelano un percorso. Di solito scarabocchiamo quando il corpo è costretto a stare fermo ed è un modo che il corpo ha per sfogarsi, compensa facendo agire la mano». Disegni senza un senso apparente spesso sottovalutati, anzi stigmatizzati che ormai sono a tutti gli effetti stati riabilitati. «Per questione di educazione lo scarabocchio è stato considerato sporco, uno spreco di spazio e di carta - conclude Felici -. Per questo sono stati a lungo considerato un affare da bambini, perché noi adulti abbiamo sovrastrutture ma gli scarabocchi, sono un affare di tutti. Prima di tutto di noi stessi».
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