DA CONOSCERE
Piccoli influencer crescono

La tentazione in uno scatto: cosa ci può essere di male nel postare la foto del proprio figlio? Condividere quella fotografia meravigliosa è sempre più normale: l’orgoglio e la gioia sono alla base del fenomeno dello «sharenting» ovvero la parola di origine anglosassone che nasce dalla crasi tra «to share» (condividere) e «parenting» (essere genitori).
Il tema è sempre di grande attualità, c’è chi come i Ferragnez - Chiara Ferragni e Fedez - hanno reso social la vita dei figli Leone e Vittoria, già star del web. Mentre, ed è la maggior parte dei casi, i genitori amano postare gli scatti dei loro figli piccoli per condividere appunto la loro gioia. Ci sono poi i casi di genitori e figli che diventano piccole star dei social e in particolare TikTok - veri influencer o creator come si usa in gergo - che prendono il nome di «family influencer».
Una pratica che spesso però ha una accezione negativa, proprio per la sovraesposizione. «La gente non sa dosare le parole e non ho voglia che (mia figlia, ndr) diventi argomento da bar»: è la dichiarazione di Cristina Marino, moglie di Luca Argentero alla luce delle polemiche sugli scatti pubblicati dalla coppia su Instagram in cui la piccola è sì protagonista, ma sempre con il volto nascosto.
I protagonisti degli scatti del «sharenting» sono i bambini della generazione Alfa, nati tra il 2010 e il 2020: sono bimbi capaci di usare un touchscreen in maniera quasi istintiva. Sono anche i primi «nati sui social», basti pensare che mamme e papà postano le ecografie. Un tema che già nel 2013 era caldo: un indagine irlandese rivelava che in meno di un’ora (57,9 minuti in media) il neonato finiva immortalato su un social network e nel 77% dei casi su Facebook. Nel 62% dei casi erano i genitori stessi a postarne la foto, nel 22% membri della famiglia, nel 16% amici. A indagare il fenomeno sono sempre gli anglosassoni che tra il 2020 e il 2021 hanno condotto una ricerca: secondo uno studio della Northumbria University, più dell’80% dei bambini britannici è presente online entro i due anni di vita. Prima del quinto anno di età un bambino ha circa 1500 foto sul web. Non solo, secondo una ricerca britannica commissionata da ParentZone il 32% dei genitori pubblica tra le 11 e le 20 foto del proprio figlio o figlia al mese. Il 28% di loro non si è mai posto il problema di chiedere ai figli il consenso.
Questi sono i dati che restituiscono la dimensione del fenomeno su cui la legge italiana ha acceso i riflettori da una decina di anni. Oltre al fatto che psicologi, psichiatri ed esperti dell’infanzia avvertono sui potenziali rischi legati a quella che è una conseguenza dello sharenting: ovvero la vetrinizzazione dei bambini che potrebbe produrre un falso sviluppo del sé dei piccoli. A mettere in allerta i genitori e, più in generale gli adulti, è anche la onlus Save the children che affronta i rischi e aiuta ad accendere i riflettori non solo sul tema della privacy ma anche sul rischio della circolazione di materiale pedopornografico (esiste un sito collegato stop-it.savethechildren.it). La regola base è non postare le immagini dei bambini con volto riconoscibile, non raccontare abitudini né dare particolari. Purtroppo negli errori incorrono persone che hanno scarsa dimestichezza con il mondo digitale e non ne colgono i potenziali pericoli.
A tutelare i diritti dei piccoli, in Italia la prima corposa disciplina in materia è stata introdotta con la legge numero 219 del 2012 e il decreto legislativo numero 154 del 2013. Sulla base delle indicazioni internazionali il legislatore italiano ha introdotto nel codice civile una nuova disposizione (art. 315-bis) ponendo per la prima volta l’accento sulla «responsabilità» intesa come cura dell’interesse del minore e abbandonando una volta per tutte il concetto di potestà genitoriale che fino ad allora aveva contraddistinto il regime giuridico della famiglia italiana. Il primo passo per proteggersi e proteggere i bambini è legato quindi alla tutela della privacy: basti pensare che secondo un’indagine della London School of Economics i bambini nativi digitali capiscono il concetto di privacy e tengono tantissimo a tutelarla. Quindi foto sì, ma sempre un po’ artistiche, senza ritrarre volti dei piccoli. Dando quell’aria di mistero che li protegge.
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