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Tra le necropoli della Tuscia

Ulivi, noccioleti e tufo. Li attraverso pian piano, e a tratti, nel tufo, si intravedono scavi profondi: sono le necropoli etrusche, tra i resti più significativi di questa civiltà. Da Perugia ho raggiunto Roma sulla strada che fu costruita dai romani nel 241 a.C. La chiamarono via Amerina, non appena conquistato il territorio della Tuscia: ai giorni nostri percorso archeo-naturalistico, un tempo un mezzo per romanizzare etruschi, falisci e umbri.
Ad oggi, la tratta tra Perugia e Roma è l’unica parte di ciottolato dell’Amerina percorribile. Barbara gestisce l’oasi WWF di Corchiano. È lei che mi guida a scoprire la natura e tutto ciò che sta dietro all’Amerina. Mi spiega cos’è una forra - una grande gola nel tufo rosso tipico della zona. «Ci troviamo sui terreni che i romani chiamavano ager faliscus, ora parte delle province di Roma e Viterbo», mi dice.
In questo territorio, qualche secolo prima di Cristo, abitavano i Falisci, popolazione vicina per molti aspetti - ma non per lingua- ai latini e agli etruschi. Barbara indica le necropoli etrusche, immerse nella natura incontaminata. Sono l’unica testimonianza umana di un ambiente idilliaco. Le osservo, mi addentro in camere dagli affreschi meravigliosi. Anche nei templi della morte, la volontà di memoria e celebrazione della vita di chi è stato è fortissima, tangibile. Le necropoli erano situate lungo le strade principali proprio perché quelle tombe fossero un eterno ricordo: tutti le dovevano vedere, tutti dovevano portare la memoria di chi era e non è più.
L’Agro falisco è un luogo dal grande valore storico e archeologico. Ma come sempre, a lasciare il segno sono la forza con cui ci parla, le cortecce dei suoi ulivi, le sue forre, i suoi colori, i suoi odori.
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