CUBISMO
Picasso: l’arte non ha tempo
In mostra al Mudec di Milano 40 opere tra dipinti, sculture e 26 disegni e bozzetti

Senza l’arte africana, Picasso non sarebbe Picasso. Il maestro del cubismo, l’artista eclettico e, insieme, coerente nel suo passare attraverso forme estremamente diverse di creatività senza perdere autenticità espressiva; il maestro che ha attraversato l’intero Novecento (nato a Malaga nel 1881 è morto in Francia nel 1973) e ha sperimentato tutto, dalla pittura alla scultura, dalla ceramica alla grafica, trovando in ogni ambito terreno propizio per rivelare un insopprimibile ed egocentrico bisogno di esprimersi.
L’intero percorso artistico, i momenti di svolta e rinnovamento, sono tutti segnati da una riflessione sull’arte allora definita “primitiva”: lo si capisce bene nel percorso ideato da Malén Gual e Ricardo Ostalé Romano, curatori della mostra Picasso. La metamorfosi della figura, in corso al Mudec di Milano, che chiude le celebrazioni del 50esimo anniversario della sua. L’artista catalano scopre l’arte africana grazie a Henri Matisse. Durante una cena in casa di Leo e Gertrude Stein, Matisse mostra una statuetta Vili del Congo, acquistata in un mercatino per pochi spiccioli. Una figuretta femmine, intagliata in un pezzo di legno nero, con lo sguardo vuoto. Secondo il racconto di Matisse, Picasso passa l’intera serata a manipolare la statuina, studiandone le forme e le proporzioni.
Il giorno dopo, Jacob lo trova nel suo studio, circondato da decine di fogli sui quali aveva disegnato, con la straordinaria memoria visiva di cui era dotato, lo stesso volto di donna, costruendo gli occhi, il naso e la bocca con un unico tratto. Il percorso si snoda proprio intorno al rapporto tra queste figure arcaiche e le opere di Picasso, oltre quaranta tra dipinti e sculture, insieme a 26 disegni e bozzetti di studi preparatori. Dietro pareti di un blu intenso si stagliano numerosi fogli del preziosissimo Quaderno n. 7 concesso per la mostra dalla Fondazione Pablo Ruiz Picasso - Museo Casa Natal di Malaga.
Il taccuino da disegno è per Picasso la parte più intima della sua creazione, un laboratorio di idee dove propone e trova le soluzioni plastiche e compositive che compaiono nei dipinti, in particolare in Les Demoiselles d’Avignon, opera destinata a cambiare l’arte del Novecento.
Dal realismo al cubismo e all’arte tribale, dai progetti per Guernica si arriva alla «metamorfosi» delle forme e della realtà in un universo parallelo, squisitamente picassiano, dove le forme si fondono, le linee diventano più morbide e sinuose, i colori più delicati, giocati sui toni del rosa e del grigio, come nella testa femminile del 1926 o nel nudo appoggiato degli anni Sessanta (scelto anche come copertina del catalogo), quando l’artista esprime liberamente erotismo e sensualità, rappresentando il corpo femminile con riferimenti stilistici ai periodi precedenti: deformazioni, forme morbide, primitivismo.
L’incontro di Picasso «prima con l’arte iberica e poi con l’arte del continente africano e dei mari del Sud lo guida in un viaggio interiore in cui scopre che l’arte va al di là della ricerca della bellezza o della rappresentazione della realtà», spiegano Gual e Romano. Contenuti riflessi nelle stesse parole di Picasso: «Quando sono stato per la prima volta con Derain al museo del Trocadéro, un odore di marcio mi ha preso alla gola. Ero così depresso che avrei voluto andare via subito. Ma mi sono sforzato e sono rimasto, per esaminare quelle maschere, tutti quegli oggetti che degli uomini avevano creato con un obiettivo sacro, magico, per fare da tramite fra loro e le forze intangibili, ostili, che li circondavano, provando a sormontare la paura dando loro forma e colore. E così ho capito che quello era il senso stesso della pittura. Non è un processo estetico; è una forma di magia che si interpone tra l’universo ostile e noi, un modo di catturare il potere, imponendo una forma alle nostre paure come ai nostri desideri. Il giorno in cui ho capito questo, ho saputo di aver trovato la mia strada».
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