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Tu mi fai girar come fossi una bambola
La principessa Bona Borromeo Arese è tra le più grandi conoscitrici di bambole al mondo, una passione collezionistica che dura da più di sessant’anni
È bellissima. Alta ottantacinque centimetri. Elegante. Con occhi grandi. Blu. E vitrei. È la Bambola Bru risalente agli anni Ottanta dell’Ottocento ed esposta al Museo della bambola e del giocattolo della Rocca di Angera, nato nel 1988 per volere della principessa Bona Borromeo Arese, ritenuta tra le più grandi conoscitrici di bambole al mondo, alimentata da una vera passione collezionistica che dura da oltre sessant’anni. Con oltre 1400 tra bambole e giocattoli, realizzati dal XVIII secolo a oggi e custoditi in dodici sale dell’ala Borromea e nell’oratorio della Rocca, il Museo di Angera è nel suo genere uno dei più importanti d’Europa per varietà, qualità e rarità degli oggetti esposti che, oltre a provenire dalla collezione della principessa, arrivano da donazioni che negli anni hanno contribuito e continuano a contribuire ad ampliarlo e mantenerlo vivo.
E la Bambola Bru dai vitrei occhi blu è una delle più belle e forse anche la più prestigiosa che vi è esposta. «Questa ditta - spiega Francesca Mazzara, assistente curatrice museale - nacque nel 1867 e produceva bambole di lusso: è famosa soprattutto per la realizzazione di bambole a fisionomia infantile. Nel caso di questa bambola, gli occhi grandissimi blu fissi ricordano una bimba di 4/5 anni: il corpo è realizzato in pelle di capretto bianca e le parti visibili riprendono la porcellana bisquit. Per scelta espositiva l’abbiamo abbinata a un piccolo Pulcinella francese, altro circa sessanta centimetri, che la bambola porta in mano e che le è coevo, anche questo in porcellana bisquit e con gli occhi azzurri».
Un esempio di come il mondo del giocattolo, delle bambole, dei gioco da tavolo sia troppo spesso erroneamente relegato a oggetto destinato solo all’età infantile. «Studiando e lavorando all’interno del Museo della bambola e del giocattolo di Angera, vivendolo quotidianamente, ci si rende conto di quanto sia vivo e legato anche a un certo bisogno sociale di persone che propongono donazioni di tanti oggetti antichi che hanno in casa a cui si vuole dare nuova vita esponendoli - sottolinea Serena Sogno, curatrice del Museo - Qui abbiamo un senso di vitalità che non abbiamo in altri musei. Inoltre studiando, preservando, curando questi manufatti ci si accorge che sono legati a comportamenti sociali, creano comportamenti sociali ed educativi e sono connessi al mondo del costume e della moda. Si vede l’evoluzione nell’abbigliamento delle bambole, nel gusto del tempo fino ai giorni nostri».
Non tutte le proposte di donazioni possono essere accettate: innanzitutto per motivi di spazio che costringono a selezioni che vengono fatte direttamente con la principessa Bona Borromeo, un vero punto di riferimento nel settore, che riesce anche a capire subito l’originalità e il valore di ogni manufatto sottoposto alla sua attenzione. O spesso si tratta anche di doppioni di oggetto già esposti. «I musei di questo tipo non sono molti, - afferma ancora Serena Sogno - ma i collezioni sono moltissimi: è molto florido il mercato statunitense, ricco anche di aste di bambole, peluche, giocattoli, giochi da tavola, ma oggi si sta affermando anche quello italiano».
Il percorso museale che si apre davanti al visitatore (le sale sono aperte al pubblico tutti i giorni da marzo a inizio novembre) si snoda tra varie epoche e fasi: dall’artigianato all’industria europea del giocattolo in cui si avvicendano non solo stili e materiali ma anche modelli di ispirazione per le bambine in società. In esposizione anche accessori domestici, figurine, giochi di società, libri e riviste. E per il loro coinvolgimento, nel percorso di visita si incontrano anche vetrine ad altezza dei bambini.
Tra i pezzi più prestigiosi esposti, anche una bambola del 1885 circa della ditta Jumeau: alta circa sessanta centimetri, anche questa ha un viso in porcellana bisquit, con quella finitura opaca che ricorda la pelle umana. Anch’essa con occhi vitrei fissi di colore blu e una parrucca. Queste ultime erano talvolta di capelli veri, altre in mohair. «Le bambole Jumeau - svela Francesca Mazzara - avevano talmente tanto successo che a un certo punto si diffusero anche bambole false di questa ditta e dal 1885, per arginare questa cosa, l’azienda decise di apporre un timbro», che indicava il nome della fabbrica con un numero, quest’ultimo che «sta a indicare la dimensione della bambola».
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