LA MOSTRA
Un’istantanea dei volti e dei costumi del ‘500 con Moroni
Alle Gallerie d’Italia a Milano l’esposizione dell’artista di Albino. Nei ritratti non rinuncia mai a restituire l’aspetto umano

Nel ritrarre il bergamasco Gabriele Albani, Giovan Battista Moroni (1521-1580 circa) non risparmia l’enorme bitorzolo al centro della fronte; di Pietro Spino registra lo sguardo ardente, quasi ipnotico. Dietro l’aria pacifica Gabriel de la Cueva, futuro governatore dello stato di Milano, cela un’indole spavalda che traspare dagli occhi colore del ghiaccio, mentre di Giovan Gerolamo Grumelli (il cavaliere in rosa) l’artista di Albino sottolinea l’aria da dandy con cui sfoggia il completo color corallo. Ritratti che allo storico dell’arte Roberto Longhi apparivano così «veri, semplici, documentari da comunicarci addirittura la certezza di averne conosciuto i modelli» e da aprire la strada a Caravaggio.
Sono loro i protagonisti della mostra - da non perdere - Moroni (1521-1589). Il ritratto del suo tempo, allestita alle Gallerie d’Italia e curata da Simone Facchinetti e Arturo Galansino, curatori anche di due precedenti monografiche sul pittore, una alla Royal Academy of Arts di Londra nel 2014 e una alla Frick Collection di New York nel 2019. Una mostra di studio, questa milanese, impegnativa per il numero di opere esposte (oltre un centinaio tra dipinti, pale d’altare, ritratti, medaglie, libri, disegni, persino armature) e per la provenienza dei prestiti (dalla National Gallery di Londra al Prado, dal Philadelphia Museum of Art al Louvre), illuminante sulla qualità altissima della pittura lombarda del Cinquecento.
Figlio di un capomastro, proprio a causa del lavoro paterno lascia Albino per Brescia, dove entra nella bottega di Alessandro Bonvicino detto il Moretto (di cui in mostra sono esposte due testimonianze figurative capitali quali la Pala di Sant’Andrea e San Paolo caduto da cavallo, eccezionalmente prestata dal Santuario di Santa Maria dei Miracoli presso San Celso). Negli anni Cinquanta, che segnano la maggior fortuna dell’artista, è operoso a Bergamo. Qui conosce il lavoro di Lorenzo Lotto, per Moroni continua fonte di ispirazione: ne sono testimonianza il confronto tra le due Trinitàesposte in mostra e i cosiddetti ritratti “in azione”, come il Giovane nel suo studio, in cui il maestro veneto sembra stabilire un rapporto di confidenza con l’effigiato, dando l’impressione di entrare nella sfera provata dell’individuo, cogliendone un frammento di vita, anche se in realtà si tratta sempre di una posa studiata per veicolare un messaggio preciso.
La mostra segue poi Moroni fino a Trento, dove si tiene il Concilio controriformista, prima di tornare a casa, apprezzato e richiesto dai signori e dagli ecclesiastici locali. Proprio alla ritrattistica, approfondita in tutte le sue sfaccettature, è dedicato gran parte del percorso espositivo: dai ritratti del potere, in cui Moroni si confronta con Tintoretto, Veronese e Tiziano (che, secondo le fonti, consigliava ai governatori bergamaschi di farsi ritrarre da Moroni), senza mai rinunciare a restituire l’aspetto umano, anche dietro il ruolo pubblico, ai più liberi ritratti “al naturale” della gente comune, cui restituisce verità fisionomica e psicologica.
Per questi ritratti Moroni costruisce - come avrebbero fatto in seguito i fotografi nell’Ottocento - dei set di posa sempre uguali: sguardo in macchina, posa di tre quarti, il soggetto seduto o a figura intera, concentrando l’attenzione dell’osservatore sulla testa, lo sguardo, la posizione delle mani e i dettagli della moda. Dipinge “alla prima”, tralasciando il disegno preparatorio, con effetto di naturalezza espressiva straordinaria: la materia pittorica appare sensibile, vibrante e luminosa, e, come suggerito dal cardinale Gabriele Paleotti nel Discorso intorno alle immagini sacre e profane (1582), «poiché si chiamano ritratti di naturale si dovria curare che la faccia o altra parte del corpo non fosse far o più bella o più grave da quella che la natura in quell’età ha conceduto». Con pregi e difetti, i personaggi di Moroni sembrano uscire dalla tela, vivi e veri ancora oggi.
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