IL CASO
Addio a coach Pedoja: Martinenghi va a Verona
L’olimpionico di Azzate cambia e si affida a Matteo Giunta. Impossibile continuare a collaborare senza un impianto né una struttura adeguati
Quando all’inizio della scorsa settimana ha svelato il suo regalo, dietro di esso molti ci hanno letto un messaggio. Era un dono d’addio. Quell’opera raffigurante l’esultanza per l’oro nei 100 rana ai Giochi di Parigi, commissionata all’Atelier Atomico di Ispra e realizzata con decine di ritagli di giornale (tantissimi del nostro quotidiano) celava un simbolico e suggestivo abbraccio: «Questo è tutto ciò che abbiamo raggiunto insieme».
Ora che il divorzio è stato svelato, è limpido anche il motivo di fondo di quel regalo. Il rapporto tra Marco Pedoja e Nicolò Martinenghi è giunto al capolinea, appena tre mesi dopo il trionfo della Défense Arena.
Da tempo se ne sussurrava e non per il logoramento di un legame straordinario iniziato nel 2011 (Tete aveva appena 12 anni, oggi ne ha 25), ma anche e soprattutto per motivi contingenti. L’impossibilità per un campione olimpico di restare in una terra ingrata e incapace di offrire al suo sportivo numero 1 una piscina da 50 metri in cui allenarsi con stabilità e soprattutto in un contesto di alta specializzazione.
Così, dopo settimane di fortissime titubanze, tensioni e stress, dovute anche ai molteplici impegni extrasportivi post-olimpici, l’asso di Azzate ha preso la sua decisione. Da solo.
Dopo i Mondiali in vasca corta di metà dicembre a Budapest e dopo le feste, da gennaio lascerà il Varesotto e si trasferirà a Verona, affidandosi alle cure di un nuovo coach. Ha scelto Matteo Giunta, 42 anni, ex allenatore e attuale marito di Federica Pellegrini - con cui ha dato alla luce Matilde -, cugino ed ex tecnico di Filippo Magnini (a sua volta ex fidanzato della Divina).
Una scelta sofferta, presa appunto da Tete senza neppure quella totale serenità che dovrebbe sempre accompagnare certi cambiamenti e certe svolte. Dopo Parigi e con anche la piscina di Busto Arsizio chiusa per vicissitudini persino paradossali, il quadro è apparso desolante e ha imposto una virata. Inaccettabile per un campione olimpico, cresciuto nella quiete di Brebbia (altro centro chiuso...) essere costretto a fare decine e decine di chilometri più volte al giorno per potersi allenare, per andare in palestra, per sottoporsi ai necessari trattamenti fisioterapici. Non senza mettere a rischio la propria incolumità lungo strade e autostrade.
In queste settimane si è adattato e continua a farlo tra Cerro Maggiore e Sesto Calende, in vasche da 25 metri sfruttabili al momento in vista dei Mondiali in corta. Ma da gennaio, con il destino della Manara ancora incerto e con l’attesa piscina da 50 metri a Varese ancora lontana (è nel grande progetto Orrigoni per l’area ex Aermacchi ma occorrerà del tempo), a Martinenghi serve un impianto adeguato al suo livello per poter affrontare i grandi eventi dei prossimi anni col mirino puntato su Los Angeles 2028. Ha ipotizzato di seguire in Australia l’altro azzurro Ceccon, ha valutato le opzioni Spagna e Usa, ma alla fine ha scelto Verona e con essa Matteo Giunta. Il quale dovrà abbandonare lo star system(da Pechino Express e Ballando con le Stelle) e tornare a lavorare sodo in piscina, non senza lunghi periodi di ritiro in altura e all’estero.
E Marco Pedoja? Tutta la sua vita negli ultimi anni, tra Federnuoto e Aniene, è ruotata attorno a Tete. Da gennaio dovrà decidere quale strada intraprendere: il discorso è aperto con la stessa FIN. E chissà che dalla fine del prossimo anno non si concretizzi il progetto di un nuovo centro tecnico federale a Busto Arsizio...
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