MOTORI
Addio Maggiolino, l’auto che fece la storia

La maggior parte delle auto è progettata per trasportare persone, alcune invece sono pensate per fare sognare intere generazioni. Ci sono utilitarie semplici e robuste, modelli che hanno segnato una svolta nell’innovazione tecnologica, vetture spartane e macchine curate in ogni dettaglio. E poi c’è un’auto che è stata tutte queste cose insieme, e che non a caso detiene il record di più longeva della storia dell’automobile. Anzi: da diversi punti di vista il Volkswagen Tipo 1, come con fantasia tutta tedesca fu battezzato il modello conosciuto con il soprannome di Maggiolino, è un’automobile che ha fatto la storia. Non solo quella dell’automobile, perché per 65 anni il Maggiolino (Kafer in Germania, Beetle in Inghilterra, Coccinelle in Francia, Escarabajo in Spagna) è stato protagonista di tutti i principali eventi che hanno cambiato il mondo occidentale: dal nazismo di Hitler fino alla contestazione dei figli dei fiori, passando per la motorizzazione di massa di interi paesi.
Mercoledì 10 luglio dalla fabbrica di Puebla, Messico, è uscito l’ultimo Maggiolino Volkswagen. Non è difficile immaginare perché il gigante tedesco abbia deciso di terminarne la produzione. Il nuovo Maggiolino prodotto in due generazioni (dal 1998 al 2010 e poi dal 2010 alla scorsa settimana) è stato un mezzo fiasco: l’operazione nostalgia che tanta fortuna ha portato a Bmw con Mini e a Fiat con Cinquecento non è riuscita alla casa di Volksburg, che in vent’anni ha venduto meno di due milioni di auto. Il nuovo Maggiolino era un prodotto di nicchia, il grande pubblico vuole la Golf: meno costosa e più pratica. Ma con l’ultimo esemplare prodotto a Puebla finisce tutta un’altra storia, quella iniziata da quel Tipo 1 che dal 1939 al 2003 è stato sì campione di vendite, con un totale di oltre 21 milioni di esemplari prodotti.
Tutti sanno che il Maggiolino fu voluto da Hitler, pochi forse sono a conoscenza del fatto che fu lui stesso a dettare le specifiche tecniche della macchina che nei suoi piani doveva imporre la motorizzazione ai tedeschi. La vettura doveva trasportare cinque persone, viaggiare a un media di cento chilometri all’ora, non consumare più di 7 litri per 100 chilometri e costare meno di mille marchi. Era il 1937, l’auto più moderna allora era la Opel 1.2, che costava 1.500 marchi, beveva 9 litri ogni 100 chilometri e proprio a tirarle il collo superava gli 80 chilometri orari.
La missione sembrava impossibile, invece Ferdinand Porsche riuscì a realizzarla. L’auto fu presentata nel 1939 al salone di Berlino. Sembrava uno scarafaggio, è vero. Ma faceva davvero le cose impossibili che Hitler aveva chiesto, e i tedeschi si misero subito in coda per comperarla.
Dal 1946 sotto il controllo degli inglesi la fabbrica di Wolksburg ricominciò a produrre quella che fu battezzata Volkswagen, l’auto del popolo. Il successo arrivò negli anni Sessanta, nel 1970 fu lanciato il Maggiolone (Super Beetle), sempre uguale eppure tutto nuovo. Mentre Volkswagen chiedeva a Pininfarina come svecchiare il suo unico modello («Lasciate stare – fu la risposta del designer – è perfetto così com’è»), l’indistruttibile utilitaria diventava il simbolo della contestazione hippie. Ragazzi che disprezzavano le auto simbolo di potere, e che invece ostentavano l’inarrestabile ed economicissima auto del popolo, che con quel suo muso un po’ da cucciolo non poteva non ispirare simpatia. Il motore raffreddato ad aria si adattava senza problemi a ogni latitudine, il robustissimo boxer funzionava con tutto, dal gas di carbone all’alcol di barbabietola: dopo aver messo in macchina l’Europa, il Maggiolino fece lo stesso con il Sudamerica e parecchi stati africani. Ora su questa storia è stata scritta la parola fine. Ma è facile prevedere che l’immensa iconografia legata al Tipo 1 resisterà ancora a lungo nella memoria e della cultura di mezzo mondo. Anche quando le auto saranno elettriche e forse voleranno.
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