FUORI DAL COMUNE
Animali con abitudini alimentari particolari e stravaganti
Dalle feci alle carcasse, le diete che risultano un po’ “trash”
Per noi Homo sapiens “moderni”, mangiare non vuol più dire solamente nutrirsi. Il cibo ha ormai sfaccettate interpretazioni, dipendenti da aspetti sociali, culturali, economici e anche emotivi. Il tutto innestato su una componente neurobiologica innata.
Nel nostro cervello sono infatti presenti le cosiddette “aree del piacere”, che sono ricche di recettori che vengono stimolati ogni volta che mangiamo qualcosa di particolarmente gustoso, producendo alcuni neurotrasmettitori (ad esempio la dopamina o l’acetilcolina), che creano una sensazione di piacere e benessere.
Nel contempo, in senso del tutto contrario al precedente, vengono espressi i nostri disagi attraverso un rapporto sbilanciato con il cibo. Sempre più spesso, infatti, negli ultimi anni, in particolare nel mondo occidentale, si manifestano forme di disturbo del comportamento alimentare. L’insano ideale di magrezza estrema risulta sempre più diffuso, con il paradosso, invece, che in zone del mondo dove c’è malnutrizione, essere grassi è considerato una prova di salute e benessere sociale. Questi approcci distorti al cibo, quasi sempre riconducibili a problematiche psicologiche, conducono a disfunzioni alimentari che spesso hanno ricadute estremamente negative sulla salute fisica.
Non stupirà sapere che questi atteggiamenti sono quasi totalmente appannaggio della nostra specie, mentre gli animali selvatici, il cui obiettivo quotidiano è proprio quello di riuscire a procurarsi il quantitativo minimo indispensabile di cibo per garantirsi la sopravvivenza, non sono minimamente sfiorati da queste forme di alterazioni delle abitudini alimentari. Viceversa, esistono (per lo meno ai nostri occhi di umani) atteggiamenti alimentari o cibi che consideriamo inconsueti, particolari nella loro eccentricità e quindi stravaganti.
Alcune specie di passeriformi come le averle, appartenenti al genere Lanius, termine che in latino non a caso significa “macellaio”, hanno l’abitudine di immagazzinare il cibo in modo assai particolare. Le averle predano principalmente grossi insetti, ma non disdegnano anche piccoli vertebrati, quali lucertole, rane o piccoli mammiferi come i toporagni, e le “conservano” infilzandole su oggetti appuntiti: spine di rovo, di cespugli di prugnolo o di biancospino sono utilizzate come veri e propri ganci da macelleria per appendere le prede. A volte, anche le recinzioni di filo spinato possono essere un buon surrogato e fungere da spiedo.
In natura, gli animali non si limitano a “tecniche culinarie” per noi umani inconsuete: in certi casi siamo chiamati a rivalutare il concetto stesso di cibo, a causa di scelte appartenenti a un menù almeno in apparenza decisamente indigesto agli occhi della maggior parte della gente. La coprofagia, infatti, ossia l’abitudine di ingerire feci, ci lascia sempre allibiti se non addirittura schifati, mentre per alcune specie è prassi comune.
Molti lagomorfi (lepri e conigli) hanno sviluppato un particolare processo digestivo chiamato cecotrofia. L’intestino cieco (la parte terminale dell’intestino, prima del colon), funge da “camera di fermentazione”, analogamente al rumine in alcuni erbivori, nella quale viene “scomposta” la poco digeribile cellulosa contenuta nelle fibre vegetali di cui si nutrono. Per evitare di perdere gli elementi nutritivi prodotti con questa fermentazione, come ad esempio le vitamine del gruppo B e alcuni amminoacidi, conigli e lepri si rimangiano le peculiari feci prodotte al mattino presto, gelatinose e ricoperte di muco, e con una consistenza molto diversa dalle caratteristiche palline di sterco essiccate.
Se nutrirsi delle proprie feci dando loro una seconda possibilità, può risultare sconcertante, la casistica delle diete un po’ trash rivela alcuni casi sorprendenti, tra cui la propensione a mangiare carcasse di animali morti osservata in alcuni erbivori per eccellenza, come i cervi. Spesso gli erbivori, come cervi, bufali e ippopotami, non disdegnano la carne come cibo. È rimasta negli annali la segnalazione di alcuni ricercatori americani che osservarono in Texas un cervo dalla coda bianca (Odocoileus virginianus) consumare nientemeno che ossa umane da un cadavere ritrovato nei boschi.
Talmente disgustose possono essere le preferenze alimentari che determinano il nome delle specie animali: non possiamo tralasciare lo stercorario maggiore (Stercorarius skua), un uccello marino erroneamente battezzato così nel ‘700 presumendo si nutrisse anch’esso di feci. Oggi sappiamo che lo skua si nutre principalmente di pesce pescato in superficie, ma anche “prelevato” da altri uccelli, inducendoli a vomitare. Lo skua può inseguire infatti altri uccelli artici tormentandoli ripetutamente, sino ad indurre un rigurgito da stress che fornisce loro un comodo pasto caldo.
Un approccio più diffuso è quello dell’ematofagia: se da un lato non ci stupiamo del fatto che alcune specie di pipistrelli centro-sudamericani si nutrano di sangue (ma su oltre 1400 specie di Chirotteri esistenti al mondo, solo queste 3 sono ematofaghe, con buona pace dei “vampiri”), ci stupirà sicuramente molto di più sapere che una delle famose 13 specie di fringuelli di Darwin ha analoghe abitudini alimentari.
Endemico delle Isole Galàpagos, Geospiza septentrionalis, noto appunto con il nome di “fringuello vampiro”, quando le fonti di cibo scarseggiano usa il becco affilato per lesionare la pelle delle sule di nazca (Sula granti) e delle sule dai piedi azzurri (Sula nebouxii), per nutrirsi del loro sangue. Un brindisi di certo un po’ particolare, ma come diceva Charles Pierre Baudelaire “Chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere” e i fringuelli delle Galàpagos, sin dai tempi di Darwin, per noi in effetti non hanno più segreti.
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